Dopo la prova della Ferrania Eura, ecco la prova della Ferrania Euralux 44.
Prima di entrare nel dettaglio di questa fotocamera vorrei riprendere il concetto che sta oggi alla base delle cosiddette toy cameras.
Nel corso della storia dell’evoluzione tecnologica delle fotocamere sono stati moltissimi i modelli che si potrebbe, pur impropriamente, definire toy cameras.
Ovvero fotocamere molto semplificate, in molti casi prive addirittura della possibilità di focheggiare, dotate di un solo tempo di scatto e di un diaframma fisso.
Le prime fotocamere Kodak, rese famose dalla pubblicità “You press the button, we do the rest”, erano appunto estremamente semplificate, ed erano nate per permettere al grande pubblico di poter scattare autonomamente fotografie, in un periodo in cui l’unica necessità di una parte della popolazione era quella di possedere un proprio ritratto, innanzitutto per i documenti, in seconda battuta per lasciare un ricordo tangibile; basti pensare ai due grandi conflitti mondiali e ai soldati che nel portafoglio avevano un ritratto della propria “amata” fosse ella la fidanzata o la moglie.
Le prime fotocamere semplificate e portatili erano state quindi concepite per permettere di esporre rulli autonomamente e di richiedere stampe. Grande pubblico fino a un certo punto: non erano molte le persone che si potevano permettere di acquistare una fotocamera, seppur semplificata, e che avessero qualcosa da fotografare, ovvero “bei momenti”, sia quotidiani che per documentare viaggi d’oltreoceano. Questo era lo scopo, anche commerciale, alla base di queste fotocamere; la redditività non stava nella vendita dell’apparecchio ma delle pellicole e soprattutto delle successive stampe. Non diversamente dalle stampanti ink jet attuali, dove la redditività per il produttore non sta nella vendita della stampante, ma delle cartucce e della carta.
Le fotocamere “semplificate” sono state prodotte anche successivamente, fino a che non è stato introdotto il digitale, e anche nel mondo del digitale sono state prodotte e sono tuttora prodotte fotocamere a loro volta semplificate, più evolute rispetto a quelle a pellicola, ma sostanzialmente “automatiche”, quindi alla portata di tutti: point and shoot.
L’avvento dello smartphone e dei “social” ha dato il via alla vera fotografia di massa, alla possibilità di scattare dovunque e di condividere istantaneamente le proprie immagini. E’ stato indubbiamente l’evento tecnologico più epocale, come apertura della fotografia a chiunque, dall’invenzione stessa della fotografia.
Già alla fine degli anni 80, invece, in paesi meno affermati economicamente, come la Germania dell’Est, la Russia e la Cina, la produzione di fotocamere a pellicola semplificate è, in alcuni casi iniziata, in altri continuata. Con il miglioramento del reddito pro capite anche in quei paesi era iniziata la produzione di fotocamere, per permettere al “popolo” di fotografare.
Negli anni 90 alcune di queste fotocamere semplificate dettero il via a una sorta di movimento, soprattutto in Occidente, dove la ricerca di una fotocamera semplificata, a pellicola, serviva per affrancarsi dalla qualità più che assoluta delle fotocamere di medio/alto livello.
Fotocamere come la Lomo, la Holga, la Diana e la Lubitel, per citarne solo alcune, divennero gli strumenti per la ricerca fotografica di molti. Obiettivi di qualità scadente, costruzioni approssimative che spesso velavano o bruciavano parti della pellicola, una messa a fuoco sull’iperfocale o a stima, un sistema di inquadratura a sua volta approssimativo – spesso le foto venivano/vengono realizzate senza neppure inquadrare -, la scelta di pellicole, soprattutto a colori, scadute, e la stampa attraverso laboratori o service industriali dove la qualità non era affatto garantita, tutto questo portava e porta a immagini dove non solo la qualità finale non è garantita, ma neppure la riuscita stessa della maggior parte delle immagini.
Questa è diventata una sorta di “poetica” di un differente modo di fotografare, controcorrente, dove anziché ricercare la qualità sempre più elevata si ricerca una qualità appena sufficiente a cui si aggiungono le variabili date dalla costruzioni stessa di queste fotocamere, dalla ricerca di rullini scaduti e di laboratori di stampa “cheap”. Questi fattori dequalitativi diventano la forza espressiva di questo tipo di fotografie, dove il fotografo fa un grande affidamento proprio sull’incertezza e sull’imprevedibilità del risultato finale.
La fotografia istantanea
Parallelamente al “fenomeno” delle toy cameras c’è il mondo della fotografia istantanea. Polaroid, nata come fotografia immediata dove la possibilità di ottenere immediatamente una fotografia stampata porta in secondo piano la qualità, è entrata a sua volta nel novero della fotografia dal risultato tecnico di basso livello e relativamente imprevedibile. Oggi le toy cameras vengono prodotte a livello industriale per far fronte alla richiesta di fotocamere “incerte”. Al contempo si sta assistendo a una riscoperta delle “fotocamere elementari” del 900 che coniugano un risultato tecnico di basso livello al fascino di utilizzare una fotocamera prodotta decenni fa.
Ed è qui che entrano oggi fotocamere di una volta come la Ferrania Euralux 44.
Ferrania.
Ferrania non ha solo prodotto pellicole sia a colori che in bianco e nero, tanto per applicazioni cinematografiche che fotografiche, ma ha anche prodotto fotocamere, alcune estremamente semplificate, altre decisamente più raffinate. In Italia, oltre a Ferrania va ricordata tra le aziende che producevano fotocamere di livello medio basso e di costo relativamente abbordabile la Bencini. A queste si aggiungono altri marchi, come Agfa e Kodak, entrambe produttrici innanzitutto di pellicole, chimica e carte fotografiche, come Ferrania.
La Kodak Instamatic è stata senza dubbio, negli anni 60, una delle fotocamere più vendute anche in Italia. Utilizzava anzichè una pellicola in rullo, che spesso era il fotografo stesso, nel suo punto vendita, che caricava e scaricava dalla fotocamera dell’utente, una pellicola sempre in rullo ma annegata in una sorta di “cartuccia” che chiunque poteva inserire nella propria fotocamera e a rullo finito sostituire.
Quando negli anni 90 nacque la pellicola APS “Advanced Photo System”, anche se la pellicola si presentava sotto forma di rullo, era congegnata per agganciarsi automaticamente al rullo ricevente della fotocamera e a riavvolgersi automaticamente a rullo terminato, dando la possibilità al pubblico di poter ricaricare autonomamente un secondo rullo; l’obiettivo era sempre lo stesso, raddoppiare, se non tripicare i rulli esposti, soprattutto in vacanza, e raddoppiare/triplicare il numero di stampe. Il numero di fotogrammi, che nel tradizionale rullo 135 poteva esser di 12, 24 o 36 pose, nel sistema APS è di ben 40 pose. Sembrano numero bassi, soprattutto se confrontati al numero di scatti che si realizzano oggi con una fotocamera digitale o uno smartphone, ma portavano, all’epoca, a un notevole incremento del numero di stampe da richiedere per ogni rullo esposto.
Le Ferrania Euralux 44 e 34
La Ferrania Euralux 44 è una fotocamera che utilizza la pellicola 127; la pellicola 127 venne prodotta dal 1912 al 1995; fu Kodak a produrla per prima per la sua fotocamera Vest Pocket, ma è tuttora in produzione anche se in poche emulsioni e da pochissime aziende, quasi artigianali. Venne prodotta agli inizi degli anni sessanta insieme a una sua quasi gemella, la Euralux 34 che utilizzava sempre la pellicola 127 ma impressionava fotogrammi da 3×4 cm anzichè da 4×4 cm.; permetteva quindi di ottenere 16 pose su pellicola 127 anzichè 12 come la Euralux 44, il cui formato del fotogramma era di 4×4 cm / l’altezza della pellicola 127 è di 46mm. ). 12 pose sono davvero poche, e il formato quadrato non è il più adeguato per lo scopo per cui erano concepite queste fotocamere, ovvero innanzitutto ritratti e gruppi di persone.
Qui si vede chiaramente, confrontando i rocchetti, la differenza di grandezza tra la pellicola 120 e 127. Il numero 127, attribuito da Kodak a questa pellicola, non ha nulla a che vedere nè con la lunghezza nè con l’altezza del fotogramma, esattamente come il numero 120. Sono numeri “casuali e progressivi” che hanno costellato tutte le pellicole brevettate da Kodak
La differenza tra il formato 120 e 127 non è solo nell’altezza utile della pellicola ma anche nella lunghezza; la pellicola 127 è decisamente più corta della pellicola 120
Sul mercato attualmente è disponibile la Rera Pan, sia come negativo bianco e nero da 100 ISO che come diapositiva da 100 ISO. Sono prodotte in Giappone. Non facile da reperire a disponibile anche la Ilford HP5 in formato 127.
La pellicola bianco e nero di fatto è la Rollei RPX 100, una pellicola quindi di sensibilità relativamente bassa che, se opportunamente sviluppata, restituisce una grana molto fine.
La fotocamera più blasonata progettata anche per la pellicola 127 indubbiamente è stata la Rolleiflex 4×4: stesse potenzialità delle sorelle maggiori ma con pesi e dimensioni decisamente più ridotti; fu compagna inseparabile, tra i molti, di tanti fotografi appassionati di montagna.
La Ferrania Euralux 44 monta un obiettivo 75mm, corrispondente al tradizionale 50mm nel formato 24x36mm. L’inquadratura è a mezzo mirino galileiano; la messa a fuoco, pur a stima, è comunque regolabile da due metri all’infinito
I diaframmi disponibili, come per la Eura, sono due, f/8 e f/12, quindi di fatto le accoppiate tempo diaframma sono limitate a due, con una differenza tra un’accoppiata e l’altra di poco più di uno stop. Le accoppiate erano state decise in base alla pellicola allora più utilizzata, ovvero la Ferrania P30, quindi 80 ISO. Io l’ho provata con una pellicola 127 da 100 ISO e il risultato, negli scatti che ho realizzato in una giornata di sole è stato soddisfacente sul piano dell’esposizione. Il diaframma non è a iride ma è ricavato da due lamierini prestampati, con il doppio vantaggio di essere perfettamente circolari e di non avere necessità di alcuna manutenzione: tipico l’indurimento dei diaframmi a iride dei vecchi obiettivi causati dal deposito di grasso indurito.
Come per la Ferrania Eura 120, anche la Euralux è provvista di un solo tempo di scatto fissato a 1/50 di sec. L’otturatore è di tipo a ghigliottina che si riarma a ogni scatto ma che può essere nuovamente premuto solo se la pellicola è stata fatta avanzare; la mancanza di un meccanismo a orologeria tipico di otturatori più evoluti fa sì che l’otturatore non abbia di fatto bisogno di alcuna manutenzione e che il funzionamento sia sempre garantito anche dopo anni d’uso.
Mentre nella Eura l’otturatore può scattare indipendentemente dall’avanzamento della pellicola, permettendo doppie esposizioni intenzionali, o sequenze di esposizioni su treppiedi – inquadrando soggetti non in movimento, ottenendo così un tempo finale di posa più lungo di 1/50 di sec., nella Euralux l’otturatore anche se a riarmo automatico, non scatta finche la pellicola viene fatta avanzare sul fotogramma successivo. In questo modo si evitano le doppie esposizioni non intenzionali ma non è possibile effettuare doppie esposizioni intenzionali o somme di esposizioni multiple dello stesso soggetto.
Il caricamento della pellicola è identico a quella della Eura e della maggior parte delle fotocamere che utilizzano pellicola di tipo 127 o 120. Una volta inserito il nuovo rullo nell’alloggiamento di sinistra e tirata la carta di protezione fino ad essere inserita nel caricatore vuoto riposizionato nell’alloggiamento di destra, si porta avanti la pellicola fino a che non compare la scritta START. A questo punto si rimette il dorso.
Una volta riposizionato il dorso si fa avanzare la pellicola fino a che nella finestrella posta sul dorso compare il numero 1. A questo punto la macchina è pronta per impressionare il primo fotogramma.
All’interno del dorso sono visibili delle nervature che fanno da pressapellicola, le nervature sono leggermente curve, in modo da posizionare a sua volta la pellicola in modo leggermente incurvato, questo per ottenere una definizione più accettabile ai bordi del fotogramma, rispetto alla costruzione molto semplificata dell’ottica.
Ma la cosa più affascinante della EuraLux 44, sia da un punto di vista di design che di soluzione tecnica, è indubbiamente la presenza di un particolarissimo flash integrato e a scomparsa.
E’ sufficiente ribaltare quella particolare sporgenza posizionata sotto l’obiettivo per rivelare il flash.
Con l’unghia si ruota la prima lamella della parabola del flash fino a far apparire tutte le lamelle e metterle in posizione.
Ed ecco il flash pronto per scattare con la lampada usa e getta già inserita nello scomparto centrale.
Fortunatamente l’innesco del bulbo usa e getta del flash è fornito da due comuni batterie stilo di tipo AA.
Le Euralux sono state ispirate dalla Kodak Brownie Starflash prodotta dal 1957 al 1965 che disponeva di un flash incorporato con la parabola del flash a raggiera ma fissa. L’idea di un flash incorporato è nata sicuramente dal fatto che molti eventi di famiglia si svolgevano in interni, dai compleanni all’apertura dei regali sotto l’albero a Natale. Disporre di un flash incorporato permetteva di scattare anche in queste situazioni, in modo molto semplificato: era sufficiente inserire la lampadina usa e getta nell’apposito vano all’interno della parabola per poter illuminare “a giorno” anche un interno.
I due diaframmi erano stati concepiti anche per adeguare la fotocamera alla distanza flash/soggetto. In molte pubblicità dell’epoca a impugnare la fotocamera di solito è una donna, in contesti famigliari, quindi la madre, che di fatto ha più spunti per fotografare l’evoluzione della famiglia, ovvero i figli, rispetto al padre, che si immagina sempre fuori casa, impegnato sul lavoro. Tranne il giorno di Natale…
Ho provato la Ferrania EuraLux 44 fotografando uno dei miei soggetti preferiti ( fin dagli anni ’70 ): il Ficus Macrophylla che fronteggia e oggi quasi blocca l’ingresso della Biblioteca Clarence Bicknell, a Bordighera. Piantato agli inizi del secolo scorso dietro al grazioso muretto di cinta della biblioteca, nel corso dei decenni è cresciuto e si è sviluppato fino a fagocitare completamente l’intero muro di cinta; a testimonianza del muro e dell’ingresso il cancelletto in bronzo, trattenuto perpetuamente aperto dalle radici ma mai completamente fagocitato dalla pianta
Fine dicembre 2017, 10.00 del mattino, giornata di sole, ma basso sull’orizzonte in questo mese, condizioni di luce quasi proibitive, sia per la bassa sensibilità della pellicola, 100 ISO, che per l’apertura massima che sono stato costretto a utilizzare, f/8, che per il tempo di scatto inamovibile su 1/50 di secondo, ma l’immagine è comunque accettabile: dal mostruoso groviglio di radici si intravvede la sagoma del cancelletto di bronzo
Focheggiando correttamente, pur a stima, e giocando sulla profondità di campo del diaframma chiuso a f/8 sono riuscito a ottenere un’immagine non priva di un certo di dettaglio
Nonostante le zone dell’immagine colpite dalla luce diretta del sole e quelle rimaste in ombra, la gamma tonale della pellicola ha restituito correttamente ogni punto dell’immagine.
Il negativo e il positivo di uno degli scorci più interessanti del Ficus di Bicknell, le cui radici, serpeggiando, negli anni, hanno incontrato questa palma e le hanno lasciato spazio per sopravvivere, per poi richiudersi davanti al suo tronco. Una vera e propria colata di lava lignea.
Il trattamento della pellicola: dopo un prebagno di due minuti, ho utilizzato lo sviluppo R 09 ONE SHOT, diluizione 1+50 per 18 minuti, trattando la pellicola come una Rollei RPX 100. Primo minuto agitazione continua e a seguire un rovesciamento ogni 30 secondi. Quindi arresto, fissaggio, lavaggio e due minuti di standing in acqua depurata con aggiunta di Wetting Agent. Asciugatura del negativo a temperatura ambiente
CONCLUSIONI
LA EURALUX 44 non ha deluso le mie aspettative. Fotografare con una macchina dello scorso secolo, così semplificata, e ottenere comunque un risultato accettabile era quanto speravo.
Mettendo l’occhio a un mirino di oltre sessant’anni fa il tempo si dilata e scorre al contrario. Inquadrare in modo approssimativo, focheggiare a stima, avere a disposizione un solo tempo di scatto e due diaframmi – quindi poter scegliere nel range di due stop, far avanzare la pellicola delicatamente ruotando una ghiera che emette un continuo ticchettio con l’occhio fisso alla finestrella del dorso in attesa di veder apparire e posizionare il numero dello scatto successivo, tutto questo ti porta a selezionare i soggetti in modo estremo, scartando ogni situazione scarsamente illuminata o aspettando che il quasi assente sole invernale, così basso sull’orizzonte da non sollevarsi quasi tra una tarda alba e un precoce tramonto, ti porta al massimo ad attendere un’ora leggermente più propizia, sperando che un raggio di luce vada ad illuminare il soggetto.
In questo modo il soggetto e la luce che ( se ) lo illumina diventa tutto, e ci accorge che poco o nulla è fotografabile. Così si finisce per una volta – finalmente – per guardare la realtà, per viverla.
E anzichè cercare un’immagine da fissare sulla pellicola, farsi colpire da un’immagine da ricordare e da fissare nella memoria.