Stanchi di foto soottoesposte o sovraesposte?
Problema quasi inaggirabile in analogico, specie se il negativo è sottoepsosto, un pò più aggitabile in digitale.
Ma esporre correttamente non è la strada migliore.
In questo streaming vi spiegherò sia il miglior utilizzo dell’esposimetro integrato nella vostra fotocamera, sia essa analogica che digitale, che l’uso di un esposimetro esterno, a mio parere la scelta migliore.
Vi racconterò vita morte e miracoli del Sekonic L 308x Flashmate un esposimetro digitale, robusto, tascabile, retroilluminato, funzionnete con una comune batteria stilo di tipo AA, in grdo di leggere sia l’esposizione in luce incidente che in luce riflessa, sia da sorgenti di luce continua, luce ambiente, led, che dei flash.
Buona visione a tutti
Gerardo Bonomo
FACILE, INTUITIVO, MA LEGGETE LE ISTRUZIONI
Davvero semplice e intuitivo da usare, non vi astiene comunque dal leggere approfonditamente il manuale di istruzioni, per poterlo usare al meglio e in tutte le sue funzioni
A questo LINK trovate le istruzioni
Non entrerò nei dettagli tecnici delle varie fotocamere che prenderò ad esempio ma elencherò solo le principali feature.
La Nikon FM è indubbiamente una delle MF di Nikon più gettonata: tempi da 1/1000 fino a 1′ + posa B. esposimetro incorporato, senza batteria funziona su tutti i tempi, in quanto la batteria sovraintende solo al funzionamento dell’esposimetro. Questo significa anche che non dispone di otturatore elettromagnetico, in una parola, che a bordo c’è relativamente poca elettronica che non interferisce comunque nè con l’otturatore nè con il trascinamento della pellicola. Può montare sia le ottiche F che le ottiche Ai, grazie alla leva di accoppiamento dell’esposimetro disinseribile. E’ una delle Nikon MF più ricercate.
Nikon FM2 e FM2 New.
Derivano dalla FM, ma i tempi di posa si spingono fino al 1/4000 e nel modello FM2 New il sincro flash arriva fino a 1/250 di secondo, la batteria sovraintende unicamente all’esposimetro, ma non sono in grado di montare le ottiche F perchè la leva di accoppiamento esposimetrico non è disinseribile. Hanno il vantaggio di essere più recenti rispetto alla FM, ma bisogna poi valutare comunque come sono state usate e quanti scatti hanno fatto – cosa impossibile da determinare. Personalmente ritengo supefluo il tempo di scatto di 1/4000 di secondo, e il sincro flash portato a 1/250 di secondo. Ma rimangono le altre due fotocamere Nikon completamente meccaniche che possono lavorare su tutti i tempi anche a pila esausta. E soprattutto con l’elettronica che non sovraintende al funzionamento delle tendine
La Nikon FE è stata da tempo immemore la mia reflex elettiva. Tempi di scatto impostabili fino a 8 secondi, priorità di diaframmi – si imposta il diaframma e la fotocamera sceglie in autonomia il tempo di scatto adeguato – , possibilità di montare gli obiettivi F. C’è un piccolo scotto da pagare per tutte queste feature: l’otturatore è elettromagnetico e senza batteria funziona solo su 1/90 di secondo e sulla posa B. Inoltre ovviamente c’è molta più elettronica rispetto alla Nikon FM. Nonostante questo io la preferisco, così come preferisco la visualizzazione della lettura esposimetrica attraverso il mirino: una “stanghetta” verde si posiziona sul tempo di scatto impostato manualmente, un ago nero suggerisce il tempo dato dall’esposimetro, molto più efficace della più semplificata visualizzazione della Nikon FM.
Ho già parlato nel mio blog della Nikon Fe:
La Nikon FE2 arriva a 1/4000 di secondo, dispone di TTL flash, ma non può montare le ottiche F. Sul piano dell’alimentazione, ha anch’essa un solo tempo di scatto meccanico. E’ sufficiente avere una batteria di scorta, preferibilmente al litio – non le due pile bottone che sono proposte in alternativa. Tra le due fotocamere, comunque, io preferisco la FE per la possibilità di montare anche le ottiche F.
Due fotocamere che andrebbero mostrate in diversa sequenza, visto che la F3HP è stata presentata prima della FM3A, ma quest’ultima a mio parere è un pò il sunto, l’evoluzione, lo stato dell’arte delle Nikon FM e FE e derivate.
La Nikon FM3A ha in sostanza un doppio otturatore, meccanico ed elettromagnetico che le permette di scattare con TUTTI i tempi di scatto anche a batteria completamente scarica. Con la batteria carica si attiva la priorità di diaframmi, elettronica naturalmente. Al posto di tempi come 1/4000 di secondo io avrei preferito la possibilità di impostare manualmente tempi lunghi fino a 8 secondi, come nella Nikon FE, ma tant’è. La FM3A è forse l’unica o una delle pochissime fotocamere al mondo a funzionare su tutti i tempi con e senza batteria. Le dimensione esterne sono le medesime delle FM e FE ma durante la progettazione furono non pochi i problemi che sorsero per consentire agli operai di inserire nello chassis entrambi gli otturatori, senza cambiare le misure esterne. A mio parere un vero gioiello, presentato insieme all’obiettivo pancake, qui raffigurato, il 45mm f/2.8 P, dotato di serie di un paraluce che ha qualcosa di incredibile nella forma, e che protegge tanto la lente frontale da eventuali sfioramenti delle dita che soprattutto dai raggi di luce parassita. La FM3A, sia in versione silver che black, con o senza il suo pancake, è forse una delle fotocamere Nikon che ha tenuto, nel mercato dell’usato, praticamente lo stesso prezzo di quando fu presentata ed è forse la fotocamera che dimostra più di ogni altro di quanto sia più valorizzate oggi le fotocamere meccaniche rispetto a quelle autofocus.
La Nikon F3HP è stata all’epoca la flagship di Nikon. Propone gli stessi tempo della FE, ma, essendo di livello professionale, ha sia gli schermi di messa a fuoco che addirittura il pentaprisma e relativo mirino intercambiabile. Un solo tempo di scatto meccanico, ma sollevamento intenzionale dello specchio, la possibilità di lavorare anche con le ottiche F, e nella versione HP / (High Eyepoint) permette di visualizzare il 100% dell’immagine inquadrata anche mantenendo l’occhio a 2 cm dall’oculare, ideale soprattutto per chi porta gli occhiali. Nel display è possibile osservare il diaframma impostato grazie al micropentaprisma che punta sulla seconda ghiera serigrafata dei diaframmi comune a tutti gli obiettivi Nikon – e a tutte le fotocamere Nikon fin qui citate – e un piccolo display a cristalli liquidi – per l’epoca una feature straordinaria – retroilluminabile. A differenza dei modelli fin qui citati, durante il caricamento della pellicola, non è possibile intervenire sui tempi fino a che la pellicola non si posiziona sul primo fotogramma, come su tutte le fotocamere successive autofocus; un piccolo rimpianto per chi riuscirebbe a cavare 39 fotogrami da un rullino da 36 pose. Non posso addentrarmi oltre sulle specifiche, sono ancora alla N di Nikon, e per di più manual focus… la Nikon F3HP AF è stata di fato come già spiegato, la prima reflex autofocus al mondo.
la Nikon F3 AF non riscuote il successo sperato, ecco allora nuove fotocamere AF, F401, F501, F801. Ma è nel 1990 che Nikon presenta due modelli di fotocamere completamente elettroniche, con motore incorporato, che io personalmente ritengo essere state una genialata: la Nikon F601AF e la Nikon F610 M. Identiche in tutto, tranne che per il fatto che il modello M ha solo la misurazione esposimetrica Matrix e ponderata al centro e non la spot, le due fotocamere si distinguono per il fatto che la prima è AF, con telemetro elettronico per la messa a fuoco manuale, la seconda è priva del sistema AF ma ha uno schermo di messa a fuoco con telemetro a immagine spezzata e microprismi che permette una precisa messa a fuoco manuale, sia con gli obiettivi AI – in questo caso nell’avveneristico display non compare il diaframma selezionato, che AF. Vennero prodotte anche in versione QD ( Quartz Date ), e non incontrarono, a torto, un grande successo di pubblico, nonostante la possibilità di modificare il sistema esposimetrico, L’autoscatto elettronico, la possibilità di realizzare bracketing e altre molte funzioni impostabili non più con le classiche ghiere ma con la pressione su determinati pulsanti e la visualizzazione delle impostazioni su uno schermo LCD oltre che all’interno del mirino. Con l’esclusione della Nikon FM3A Nikon smetterà di produrre fotocamerae MF: Nikon F100, F4,F5,F6 oltre a diverse fotocamere AF entry level terminano il ciclo delle fotocamere reflex analogiche di Nikon.Al netto del fatto che la messa a fuoco manuale con telemetro assistito non è facile come usando gli schermi di messa a fuoco dedicati, oggi è facile acquistare una flagship AF professionale di Nikon a un prezzo inferiore rispetto alle già citate Nikon Manual Focus in metallo. E ho omesso di parlare della Nikon F del 1969 e di tutta le fotocamere derivate dal primo modello, massicce, indistruttibili e ancora reperibili a prezzi accettabili sul mercato dell’usato.
Canon nacque alcuni anni dopo Nikon, che all’inizio era una azienda specializzata in strumenti ottici di precisione, come i binocoli e i telemetri, per la Marina Imperiale Nipponica. La leggenda vuole che nel 1929, durante la Triplice Alleanza un Graf Zeppelin arrivò e si ormeggiò a Tokyo e che uno degli ufficiali tedeschi “perse” la sua fida Leica. Venne fondata la Precision Optical Instruments Laboratory e la prima fotocamera prodotta fu proprio una copia di Leica, che venne chiamata Kwanon, da cui poi il nome definitivo di Canon. Qui vediamo raffigurata la Canonflex, che guarda caso fu presentata nel maggio del 1959, un mese dopo la presentazione da parte di Nikon della prima Nikon F. la Leica a vite, comunque, ispirò non pochi produttori, Nikon compresa.
Buffa storia, quella della Benicini.
Antonio Bencini, toscano, durante la Grande Guerra era tecnico aeronautico nel reparto ricognitori e cominciò a riparare le macchine fotografiche, di fabbricazione francese, usate per i rilievi aeri. Dopo la guerra mise a frutto l’esperienza maturata, creando a Firenze, nel 1920, la società F.I.A.M.M.A. per la produzione di fotocamere, che fu acquisita nel 1935 dalla Ferrania. Trasferitosi a Torino, fondò la FILMA, anch’essa assorbita dalla Ferrania nel 1937. Nel 1938 fondò a Milano la ICAF, poi diventata CMF e, dal 1946, CMF Bencini. Nell’immediato dopoguerra fu affiancato nell’attività dal figlio Roberto. Lo stabilimento era a Milano in Via Rovetta, La Comet Bencini in diverse varianti venne prodotta per oltre tredici anni, poi la produzione terminò e la Bencini si occupò della produzione di diaproiettori.
Nel 1933, oltre agli apparecchi in legno per professionisti, cominciò a produrre fotocamere economiche in metallo per dilettanti. Tra queste rimangono famose: la Argo degli anni Trenta (Film 120); le Robi e Gabri, dai nomi dei suoi figli Roberto e Gabriella; la serie Comet, cioè Comet (1948), Comet I e Comet S (1950), Comet II (1951) e la particolare Comet III del 1954, tutte per film 127; inoltre la serie Koroll (film 120).
Sul finire degli anni Cinquanta comparvero anche modelli per il 35 millimetri, rispettivamente la Comet 35 e la Koroll 35[3]. Negli anni Sessanta iniziò la produzione destinata al passo ridotto, comprendente cineprese, come le Comet 8 e Super 8, e proiettori, come il P 140, destinato all’8 mm e al Super 8. L’attività produttiva è cessata negli anni Ottanta.
Scusandomi per questa digressione storica ne voglio aggiungere un’altra, sempre storica, ma più personale.
Aprile 1974. Gita di classe di una settimana, una classe della V ginnasio, la mia, e una classe della prima Liceo. Io ero armato della mia fida Comet NK 135, priva lei di esposimetro, privo io di esposimetro esterno, forse quattro rulli di pellicola Kodak Extachrome e una scatola di bulbo flash della Kodak, compatibili con la Comet. Tra i ragazzi della prima liceo – all’epoca 12 mesi di differenza erano un abisso fisico, psichico ed evolutivo incolmabile – ce n’era uno che possedeva una Canon FTB. Ogni volta che cambiava il rullo e semplicemente chiudendo il dorso agganciava la pellicola io rimanevo estasiato. Dandogli del VOI (…) gli chiesi se poteva darmi le coordinate esposimetriche, durante la giornata. Lui fece di peggio che rifiutare – libero di farlo – di darmele; mi disse che me le avrebbe date, ma solo una volta al giorno. Finì che mi trovai con sette diapositive correttamente eeposte, una per giornata, il 40% delle altre sovraesposte di quattro stop, il restante 40% sottoesposte di quattro stop e il restante 20% perfettamente esposte. Erano quelle scattate col flash dove, anche se la Comet aveva la messa a fuoco a stima, riuscivo a indovinare la distanza tra me e il soggetto principale e quindi l’adeguato diaframma di lavoro per scattare con il flash. Ancora oggi, a distanza di quasi quarant’anni, quando impugno il MIO esposimetro, mi vengono le lacrime agli occhi per la commozione per tanta fortuna, pur postuma…
La Canon FTB, per tornare a noi, fu comunque una fotocamera rivoluzionaria. Il QL Mechanism di cui era provvista ( Quick Loading ) per l’epoca era qualcosa di addirittura strabiliante. Robusta, affidabile, massiccia, una meraviglia. A fianco la Canon A1, altra manual focus straordinaria, con possibilità di scegliere tra esposizione manuale, program, a priorità di tempi e di diaframmi e con una torretta che, a seconda dell’impostazione inserita, mostrava la ghiera dei tempi o dei diaframmi. Quella sorta di diodo rosso/ LED sporgente lampeggiava quando si innestava l’autoscatto, qualcosa di avionico per l’epoca e all’interno del mirino il tempo e i diaframma selezionato venivano mostrati con un reticolo di microled rossi che aumentavano automaticamente di intensità di giorno, per diminuire di luminosità di notte… Raccontato oggi, forse tutto questo fa sorridere, ma vi posso garantire che all’epoca erano progressi che fanno impallidire i progressi, di fatto reali, a cui assistiamo nel mondo del digitale, non solo fotografico. Venne prodotto anche un modello, più entry level, la Canon AE1, mentre a dominare il mondo dei professionisti imperavano la Canon F1 e la F1 new
La Canon F-1 è stata presentata nel marzo 1971 fino all’introduzione del modello lievemente aggiornato , nel 1976, la F-1N . La produzione di questa revisione della F-1 ha continuato fino alla fine del 1981 momento in cui la F-1 è stato sostituito dalla nuova F-1 che è stata presentata nel 1981. Il nuovo innesto obiettivi FD è stato introdotto con la F-1 ma i precendenti corpi con innesto FL erano compatibili, pur senza misurazione a T.A. Gli obiettivi serie R- più vecchi possono essere ancora usati anche con alcune limitazioni. La Canon F-1 era chiaramente posizionata come solido concorrente della Nikon F e F2 .
Nel 1972 Canon ha lanciato una versione Highspeed modello con specchio fisso che ha permesso all’utente di visualizzare il soggetto in ogni momento. Dotata di un motore la fotocamera era in grade di scattare fino a 10 fotogrammi al secondo, la più alta velocità di qualsiasi fotocamera motorizzata al momento.
La Canon New F-1 ha rimpiazzato la F-1n (un upgrade della F-1) come modello di punta della line-up Canon nel 1981. Come i precedenti modelli la New F-1 utilizza la baionetta FD. Anche se nessuna data è mai stata confermata, si pensa che l’ultima New F-1 sia stata prodotta nel 1992. È ufficialmente uscita di produzione nel 1994, e il supporto della casa è terminato nel 2004.
La Canon New F-1 è una macchina ad esposizione manuale dotata di lettura TTL a tutta apertura e di lettura in modalità stop-down con il mirino Eye-Level finder FN. La modalità a priorità di diaframmi “Av” è possibile previo collegamento dell’opzionale AE Finder FN. Inoltre, la modalità a priorità di tempi “Tv” era utilizzabile montando gli accessori AE Motor Drive FN o AE Power Winder FN.
La New F-1 è un sistema espandibile e personalizzabile. Consiste in mirini intercambiabili, diversi schermi di messa a fuoco, motori per l’avanzamento automatico della pellicola, e diversi dorsi specifici per la New F-1. Tutti gli altri componenti della line-up Canon, come la seri di obiettivi FD, gli accessori per riprese ravvicinate(soffietti, tubi di prolunga, lenti addizionali, etc.) e i flash della serie Canon A e T (escluso il 300TL) sono compatibili con il sistema.
Presentata nel marzo del 1998 è stata la fotocamera reflex AF più veloce al mondo con una velocità di scatto continuo di 10 fps . Basato su EOS-1N, EOS-1N RS ha uno specchio a fisso semitrasparente con rivestimento rigido. Il rilascio dell’otturatore viene completato in 0,006 secondi.
L’otturatore sul piano focale presenta tendine in carbonio e metallo a corsa verticale (doppie tendine). La prima e la seconda tendina sono controllate in modo indipendente. Tutte le velocità dell’otturatore sono controllate elettronicamente. La modalità di avanzamento pellicola RS (CH) raggiunge una velocità di scatto di 10 fps e la modalità RS (CL) raggiunge 3 fps. Nelle modalità AF One-Shot e manuale, la velocità di scatto continuo è rispettivamente di 6 fps e 3 fps. Altre specifiche sono identiche a quelle di EOS-1N.
Assorbendo solo il 35% della luce proveniente dall’obiettivo, grazie allo specchio fisso si evita innanzitutto l’immancabile micromosso, il fotografo può seguire il soggetto anche durante lo scatto, come se fosse una fotocamera a mirino galileiano; il tutto con l’obiettivo di raggiungere una velocità di scatto impensabile per l’epoca, e is centellinare, visto che una volta premuto il pulsante di scatto, in poco più di 3 secondi il rullino da 36 pose è completamente esposto…
Non c’è nulla di nuovo sotto il sole, ma l’uso di uno specchio semiriflettente o anche solo di un semplice vetro messo a 45 gradi tra il soggetto e l’obiettivo della fotocamera era pratica comune per illuminare in pianta il soggetto senza dover posizionare la luce al di sopra della fotocamera, con inevitabile ombra della stessa sul soggetto principale. Di fatto la Canon EOS 1 RS è stata, in un certo senso, la prima mirrorless….
Fondata nel 1919 – due anni dopo Nikon, come Asahi Kōgaku Kōgyō G.K. e specializzata nella produzione di vetri ottici, ha iniziato a produrre fotocamere negli anni 30.
La prima reflex, presentata nel 1951 è la Asahiflex, seguita dal modello IIb, la prima reflex al mondo ad avere il ritorno automatico dello specchio. Questo la dice già lunga su quanto Asahi prima, Pentax poi, abbiano contribuito allo progresso delle fotocamere. E’ interessante notare a questo punto che quando il dominio dell’ottica e della produzione di fotocamere si estese al Giappone, ci fu una notevole imbardata sul piano del progresso e ciascuna azienda, scoperse/brevettò diverse migliorie che vennero poi assorbite dalle altre case in modo vicendevole. E’ indubbio che il grande balzo nell’innovazione delle fotocamere, pur inventate in Europa, è dipeso dal Giappone.
Nelle due immagini qui sopra vediamo a sinistra il primo modello di Asahiflex e a destra il modello IIb, la prima reflex, come già spiegato, a ritorno istantaneo dello specchio.
Il marchio Asahi è completamente abbandonato, e rimane il logo e il marchio Pentax, continuano le migliorie e la qualità delle ottiche fin da subito è considerata superba. Quello che subito colpisce nei modelli Pentax è la compattezza, a differenza di modelli coevi di altre aziende, e sarà anche la compattezza a consacrare il prossimo marchio di cui tra poco parleremo
Questa è la prima e l’unica immagine di una fotocamera digitale che ospito in questo articolo. E tra poco vi spiego il perchè.
“Con il termine orientamento al prodotto ( product oriented) si indica l’orientamento del focus esclusivo dell’azienda sui soli prodotti. Quindi, un’azienda orientata al prodotto impiega il massimo sforzo nella produzione di prodotti di qualità e nel fissarli al giusto prezzo in modo che il consumatore differenzi i prodotti dell’azienda e li acquisti.
Il prodotto è creato in modo tale che si venderebbe da solo e vi è un’attenzione particolare alla sua ricerca e sviluppo. Quindi, ha rilevanza solo in un piccolo scenario di mercato e viene spesso combinato con l’orientamento al mercato per soddisfare un ampio segmento. L’orientamento al prodotto è la filosofia del business che è stata incorporata prima del 1920, quando non vi era alcuna sofisticazione nello sviluppo del prodotto e l’unico obiettivo era lo sviluppo di prodotti di alta qualità.
Gli strumenti fondamentali dell’orientamento al prodotto comprendono la ricerca di prodotto, lo sviluppo del prodotto e l’attenzione al prodotto. Un esempio pratico di product oriented è l’azienda Gillette. Essa si concentra sulla produzione dei migliori rasoi usa e getta a un tasso economico. In tal modo, distinguono i loro prodotti con lama di rasoio di alta qualità, facilità d’uso e giusta strategia di prezzo.
L’ORIENTAMENTO AL MERCATO
L’orientamento al mercato (marketing oriented) invece è una filosofia aziendale in cui l’attenzione è rivolta all’identificazione dei bisogni o desideri dei clienti. Quando una società ha un approccio orientato al mercato, si concentra sulla progettazione e vendita di beni e servizi che soddisfano le esigenze dei clienti al fine di essere redditizia. La società di successo orientata al mercato scopre e soddisfa i desideri e le esigenze dei suoi clienti attraverso il suo mix di prodotti.
Una società che utilizza l’orientamento al mercato investe il tempo nella ricerca delle tendenze attuali in un determinato mercato . L’azienda sviluppa quindi una strategia di prodotto che soddisfa i desideri e le esigenze della propria clientela. Al momento dell’implementazione, la società pubblicizza i prodotti come articoli che i consumatori desiderano già piuttosto che convincerli che i prodotti sono qualcosa che dovrebbero desiderare.
Ad esempio, se un’azienda automobilistica si impegna nell’orientamento al mercato, cercherà ciò che i consumatori più desiderano e di cui hanno bisogno in un’auto, piuttosto che produrre modelli destinati a seguire le tendenze di altri produttori.
Dunque possiamo dire che il marketing oriented si concentra maggiormente sui clienti e meno sullo sviluppo di tattiche di vendita complesse e convincenti . La globalizzazione ha portato l’orientamento al mercato in primo piano perché l’adattabilità è fondamentale in un clima sempre più competitivo.
L’ORIENTAMENTO ALLA VENDITA
Oltre al product oriented e al marketing oriented un’azienda potrebbe anche decidere di orientarsi verso le vendite. Quando si adotta un orientamento alle vendite, l’attenzione si concentra sulla vendita di quanti più prodotti e servizi possibile senza preoccuparsi del marketing per il proprio target di destinazione.
La logica è che creando un prodotto o un servizio superiore al giusto prezzo, e combinandolo con tattiche di vendita aggressive, è possibile persuadere le persone ad acquistare qualsiasi cosa l’azienda stia vendendo. È importante ricordare che la strategia di determinazione dei prezzi si basa sul valore che si crede che i clienti assegneranno ai prodotti o ai servizi dell’azienda. Ad esempio, gli articoli di lusso hanno spesso un valore percepito più alto, il che significa che sarà possibile quotarli maggiormente rispetto agli articoli standard; e creare così una domanda sufficiente per generare un profitto.
DIFFERENZA TRA ORIENTAMENTO AL MERCATO E ORIENTAMENTO ALLA VENDITA
La principale differenza tra l’orientamento al mercato e l’orientamento alle vendite è che una strategia guarda verso l’esterno e una guarda verso l’interno. Un business orientato al mercato è focalizzato esternamente e crede che soddisfare i bisogni dei suoi destinatari sia la chiave del successo. Pertanto, eventuali cambiamenti in questi bisogni e necessità possono determinare un cambiamento nello sviluppo del prodotto o nel modo in cui i servizi sono offerti.
Al contrario, un’azienda orientata alle vendite guarda verso l’interno perché ritiene che lo sviluppo di prodotti e servizi eccezionali sia la chiave per attrarre i clienti. Un’attività orientata alle vendite non riguarda i desideri e le esigenze del proprio pubblico di riferimento, in quanto reputa che un prodotto ben fatto o un servizio ben sviluppato soddisfi organicamente tutto ciò che un cliente desidera o ha bisogno. ( Maria Ciavotta )”
Tutto questo riguarda naturalmente anche il comparto della fotografia. Olympus da sempre è stata un’azienda product oriented. Basta pensare proprio alle due Olympus PEN qui sopra raffigurate: la prima, prodotta nel 1959, utilizza pellicola 135 ma espone fotogrammi 24x18mm, raddoppiando di fatto il numero di fotogrammi portando a 72 le pose usando un rullo convenzionale 135 da 36 pose; esattamente mezzo secolo più tardi Olympus presenta nuovamente una PEN, questa volta digitale, mirrorless e con un sensore micro quattro terzi. L’accoglienza fu a dir poco tiepida, sembrava impossibile che un sensore di dimensioni così ridotte (17,3x13mm) potesse competere con i sensori APS o peggio ancora Full Frame. Eppure Olympus ha continuato sulla sua strada, e a seguire la maggior parte delle aziende hanno presentato fotocamere mirrorless e alcune anche con sensore micro quattro terzi. Così come nel 1990 Olympus cessò la produzione delle reflex per passare alla produzione IS. le cosiddette bridge cameras e di fatto smise per sempre si produrre fotocamere reflex. Produsse anche una fortunatissima serie di fotocamere compatte, dal mitico Uovo Robot. Le famose XA, fino alla Olympus Mju e Mju II ( solo questo modello vendette quasi 4 milioni di esemplari). Ancora oggi Olympus è una delle aziende più importanti nel mondo del fotografico e non solo, pur avendo scelto la politica product oriented, una politica a dir poco coraggiosa.
La Olympus OM-1 è, fatta eccezione per la sua gemella la Olympus M-1 ritirata dal mercato dopo soli sei mesi a causa dell’omonimia con la concorrente Leica ( La M1 a con innesto a baionetta M ), la prima fotocamera del sistema OM. La forza di questa reflex, oltre che nella eccezionale qualità degli obiettivi Zuiko, stava nel fatto che aveva pesi e dimensioni estremamente più contenute rispetto a tutte le altre reflex concorrenti di quel periodo. Divenne in tempo reale la reflex per antonomasia di alpinisti e di tutti coloro che necessitavano non solo di un corpo macchina ma anche di una gamma di obiettivi leggeri, ridotti e di pregio. Fu ingegnerizzata da Yoshihisa Maitani a cui si deve la M nel nome. Le Olympus serie M vennero prodotte dal 1972 fino al 1997 con l’ultimo modello, la OM 2000 prodotto fino al 2002. Olympus è stata una delle poche aziende fotografiche che non ha mai prodotto reflex AF.
Tra le ingegnerizzazioni e miglioramenti unici c’è sicuramente la OM-2, che offrì una soluzione non meno rivoluzionaria di misurazione della luce: la fotocellula posta direttamente sul piano focale la cui superficie rifletteva la luce attraverso l’obiettivo e, in esposizione automatica, la misurazione continua sulla pellicola invece di passare dal pentaprisma. Questo si rivelò uno dei sistemi migliori di misurazione TTL (Through-the-lens) (la Leica, per la M6, impiega un sistema identico).
Come poteva mancare Yashica? A partire dallo straordinario rapporto qualità prezzo e, almeno in Italia, da un distributore molto lungimirante, Yashica è stata per moltissimi di noi uno dei pochi sistemi reflex abbordabili.
Il primo modello di Yashica Electro è stata presentata nel 1966, compatta, con telemetro ( all’epoca a telemetro c’era solo quasi ed esclusivamente l’irraggiungibile Leica ), sistema esposimetrico a batterie, tempi fino a 30 secondi, esposizione a priorità di diaframmi e un obiettivo, pur fisso, estremamente versatile e luminoso, lo Yashinon f/1.7 da 45mm. I due LED di avvertimento esposizione posti sulla calotta la rendevano poi, per l’epoca, un oggetto da fantascienza. Al primo modello ne sono seguiti altri e ancora oggi è una fotocamera molto richiesta dal pubblico degli analogici.
Yashica fu fondata nel 1949 e iniziò la sua produzione di reflex analogiche nel 1975 con il modello FX-1. Una delle grandi peculiarità era l’innesto ottiche compatibile anche con le pregiatissime ottiche Contax, e visto che è l’obiettivo l’anima di un sistema, poter montare ottiche di tale livello, su una macchina dal prezzo quasi irrisorio rispetto alle competitor la rese da subito più che appetibile. La FX3 fu presentata nel 1979 e la Super 2000 ( arriva a 1/2000 di secondo ) nel 1986 ( Quel Super 2000, anche sottaceva il tempo di esposizione più veloce ), la confermava quasi come una fotocamera, appunto, dell’anno 2000. Le Yashica rimasero in produzione per ben 23 anni e con un parco ottiche di tutto rispetto, a cui si aggiunge, come accennato, il parco ottiche Contax. Ancora oggi è facilmente reperibile sul mercato ed è una reflex manual focus più che degna.
Sì, lo so bene che sto per parlare di una medio formato, ma ha un suo senso. Presentata nel 1957 come Yashica Mat, questa biottica nacque durante il dominio Rolleiflex e nuovamente consentiva a chi non poteva permettersi una Rollei – ed erano in moltissimi – di avvalersi di una biottica estremamente ben rifinita. L’ottica è uno Yashinon f/3,5 a quattro lenti, derivato dallo schema dello Zeiss Tessar e non del Planar. L’ultimo modello, ma non fu l’unico, era dotato di esposimetro incorporato alimentato da una batteria, una freccia in più nella faretra di Yashica, se pensiamo agli esposimetri delle Rolleiflex, tutti a “estinzione”. Non sono pochi gli accessori, dagli aggiuntivi grandangolari a quelli tele, oltre alle lenti addizionali e i filtri, senza contare la piena compatibilità con tutti gli accessori Rolleiflex con attacco BAY 2. Una macchina ancora oggi richiestissima e che ha raggiunto una quotazione di mercato oggi pari o superiore al prezzo della macchina quando venne presentata. La Yashica MAT oggi non è più un’alternativa a Rolleiflex, ma esiste una nutrita serie di amanti di questo straordinario prodotto.
Un sogno nel cassetto di tutti, quello di possedere una compatta di alta qualtà, per avere sempre una fotocamera a portata di mano. Se tralasciamo macchine molto semplificate, come la Kodak Instamatic, e alcuni modelli di fotocamere a soffietto 24x36mm con soffietto retrattile degli anni quaranta/cinquanta, il grande problema del sistema reflex, a meno di non decidere di avere con sè un corpo macchina con una sola ottica innestata, rimane quello che, anche in questo caso, non si tratta i fotocamere realmente tascabili, ma tutt’al’più da tenere a tracolla o a spalla. La carrellata qui sopra mostra alcune fotocamere molto compatte, molto blasonate, e ancora molto richieste.
La prima è una Minox 35 GT, capostipite di un’indovinatissima serie di fotocamere davvero compatte, sottili, e ultraleggere. Con il corpo realizzato in makrolon rinforzato con fibre di vetro, quando fece la sua comparsa sul mercato venne accolta in modo estremamente favorevole tanto dagli appassionati che dai professionisti che si occupavano di street. Erede della Minox progettata in solido alluminio da Walter Zapp nel 1937, una fotocamera sicuramente a corredo del romanzesco mondo dello spionaggio, e che produceva immagini in formato 8x11mm, la Minox 35 GT monta la tradizionale pellicola 135, uno sportello, chiude e protegge l’obiettivo. Presentata nel 1974 è armata con un 35mm f/2.8, quattro lenti in tre gruppi che richiama lo schema ottico del Tessar e la cui qualità risultò immediatamente proverbiale. Il funzionamento è esclusivamente a priorità di diaframmi, l’esposimetro è esterno e non raramente viene utilizzata impugnata al contrario, così che il ponticello schermi la fotocellula esterna dell’esposimetro dalla luce proveniente dal cielo e non rischi di ottenere immagini sottoesposte; ha un pulsante per raddoppiare il tempo di posa impostato automaticamente dalla fotocamera e l’otturatore centrale è di una silenziosità proverbiale. benchè sdoganata con tempi di posa che potevano arrivare solo fino a 30 secondi ( !!! ) in realtà arriva a pose superiore ai due minuti, sempre in automatico. – cosa che poche fotocamere al mondo semiautomatiche hanno potuto offrire )Eccellente quanto piuttosto fragile nella componentistica, negli anni successivi verrà affiancata da altri modelli fino al modello MB, che permetteva una lettura molto più chiara dei tempi impostati all’interno del mirino ma soprattutto disponeva del pulsante AE lock: era sufficiente premere a metà il pulsate di scatto per bloccare l’esposizione sul tempo voluto e ricomporre l’immagine. Autoscatto, possibilità, come i modelli precedenti di montare flash dedicati esterni, possibilità di utilizzare lo scatto a distanza. Il problema di tutti questi modelli Minox è stato la messa a fuoco a stima: la cinghia a corredo, una volta sganciata da una delle due parti della fotocamera e tesa verso il soggetto dava la minima distanza di fuoco, intorno ai 90cm. Venne comunque prodotta anche una lente addizionale e perfino un paraluce. Come ho detto, all’epoca era una compatta “epocale”.
La seconda è una Ricoh 500, che è stata prodotta in vari modelli a partire dal 1957 armate nella maggior parte del casi con ottica Richenon 40mm f/2.8 non intercambiabile. Nel 1972 viene presentata la Ricoh 500 G, fotocamera che può essere usata in modalità completamente manuale o a priorità di diaframma e, cosa, fondamentale, con messa a fuoco a telemetro. Il 40mm, non è una focale “casuale” perchè è stata impiegata anche su altre fotocamere compatte, come la Rollei 35, di cui parleremo in seguito, una focale a metà strada tra il 35mm e il 50mm, che predilige certamente il ritratto ambientato, ma anche la street photography. Cosa da non sottovalutare assolutamente è l’attacco filettato da 46mm per il filtri sulla ghiera frontale dell’ottica e l’esposimetro incorporato. A seconda del modello il peso oscilla tra il 360 e i 500 grami e le misure sono tali da stare davvero in tasca, magari non quella dei pantaloni, ma certamente nella tasca di una giacca.
Olympus Mju II: personalmente la ritengo la fotocamera più versatile e tascabile di tutti i tempi. Weatherproof, in grado quindi di resistere sia alla pioggia che agli spruzzi d’acqua ( non waterproof, in grado di resistere alle immersioni in acqua come le fotocamere subacquee ) La Mju II è stata prodotta in ben 4 milioni di esemplari, e ha seguito la scia della Olympus Mju e prima ancora delle Olympus XA, chiamate affettuosamente Ovetto, o Uovo Robot. Flash incorporato, monta un 35mm f/2,8 asferico che porta la minima distanza di messa a fuoco a soli 35 cm. Blocco sia dell’esposizione che della messa a fuoco, l’obiettivo è ben protetto dalla parte frontale che scorre in apertura e che rende assolutamente superflua una qualsiasi custodia. Dispone di controllo IR dello scatto a distanza – opzionale – ed è stata prodotta anche in versione QD ( Quartz Date ). 135 grammi in un ingombro di 108×59×35mm. ( una saponetta consumata a metà ). Ne parlo più diffusamente QUI
Il problema della Mju II come di tante compatte autofocus è che oggi non sono facili da reperire nei punti vendita fotografici perchè non possono essere corredate di garanzia, in quanto è da tempo scaduta la garanzia ufficiale, i distributori non sono comunque in grado di ripararle perchè non ci sono più pezzi di ricambio. Nonostante questo sono macchine ricercatissime: la Mju II oggi la si trova in rete a un prezzo che spesso è il doppio di quello dell’anno in cui fu presentata.
Passiamo alla Yashica T5, un altra compatta gioiello: weatherproof, come la Mju II si distingue innanzitutto per ul doppio mirino, uno tradizionale e l’altro posizionato sulla parte superiore della fotocamera, una sorta di mirino “superscope” o brilliant finder (Brilliant Finder: si trattava di un cubo all’interno del quale era alloggiato uno specchio a 45° sormontato da una piccola lente si dovrà attendere per una miglioria di visualizzazione, il Watson Finder che era sovrastato da uno vetro smerigliato che agevolava la visualizzazione dell’inquadratura ) usato nelle fotocamere del 900 che permette un’inquadratura dall’alto, come se fosse un pozzetto, appunto per inquadrature dall’alto, sia per prospettive insolite, ma anche per poter appoggiare la fotocamera su un sostegno di fortuna ed effettuare delle lunghe pose in mancanza di treppiedi. L’obiettivo è un Tessar 35mm f/3.5, 4 elementi in 3 gruppi che garantisce una qualità inusuale per una compatta che apparentemente non è mai stata considerata blasonata. La minima distanza solamente in AF è di 35 cm, eccellente, dispone di flash integrato e può lavorare da un secondo di posa fino a 1/700. Di dimensioni leggermente più spigolose e grosse rispetto alla Mju II la Yashica T5 rimane a tutti i livelli una macchina assolutamente tascabile.
Ricoh GR1: un prodigio di compattezza ( lo spessore della macchina è di pochi millimetri superiore a quella del rullo 135 e la macchina è leggermente affusolata perchè la parte che accoglie il rullo è più spessa ma per l’ingegnerizzazione non c’era bisogno di tutto quello spessore per il resto della fotocamera. Presentata nel 1996, autofocus, focale fissa 28mm. La GR1S, il modello successivo, poteva montare filtri dedicati Ricoh. La GR1V poteva essere utilizzata anche in manual focus. Chiude la carrellata la GR21, armata con un 21mm, sempre a focale fissa. Fotocamere leggerissime e ultrasottili, ai tempi, quando vennero presentate, avevano come unico “handicap” il prezzo, decisamente molto elevato. Sono fotocamere ancora molto ricercate dagli “analogicisti”. Per i digitalisti ci sono le Ricoh GR – è stato mantenuto nome e sigla – digitali.
Nikon 28 Ti e 35Ti
Presentate rispettivamente nel 1994 e nel 1993, queste due compatte di Nikon, AF, con minima distanza di messa a fuoco a 40cm, non possono essere considerate solo fotocamere ma veri pezzi di eccellenza progettistica e di design: in un periodo in cui da tempo imperavano i display LCD su tutte le fotocamere, Nikon sceglie di apporre sulla calotta superiore le finestre di controllo delle principali funzioni, non solo completamente analogiche, ma con un ago – e non parliamo dell’esposimetro – che si posizionava tra un riferimento e l’altro. Non so perchè mi ha sempre ricordato l’elegantissimo orologio analogico che veniva montato al centro della plancia in radica delle Maserati. Fotocamere eccezionale, un esercizio di ingegneria e di design assoluti ma che non hanno avuto la risposta del pubblico che si meritavano, per il prezzo innanzitutto e per le dimensioni, contenute sì, ma non proprio da considerarla una vera compatta.
Sono partito cercando di dare il mio punto di vista tra le fotocamere35mm MF e AF e mi ritrovo con le immagini di una Rolleiflex e di una Hasseblad. Ma visto che ho parlato anche di compatte, mi sembra doveroso un accenno anche al medio formato, nella scelta della o delle ( beati voi ) fotocamere. Fin qui ho ovviamente omesso centinaia di modelli di fotocamere, e anche parlando del medio formato mi voglio soffermare solo su due modelli, Hasselblad e Rolleiflex. Ho parlato di entrambe queste fotocamere in diversi articoli e videotutorial sul mio sito, a cui rimando, quindi qui sintetizzo.
Rolleiflex rimane ancora oggi una medio formato allo stato dell’arte, sia come robustezza, che come qualità che come approccio allo scatto. Focale fissa, costringe il fotografo ad adeguarsi alla limitazione della focale fissa, l’80 o il 75mm che un tempo erano comunque considerate le ottiche normali, prima che il mondo della fotografia venisse “travolto” da grandangolari, ultragrandangolari e teleobiettivi. Sono fotocamere ancora facilmente rintracciabili sul mercato dell’usato e possono ancora essere assistite da decine di fotoriparatori. Rolleiflex rappresenta una delle principali icone fotografiche del 900 e non passerà mai di moda. Rivolgendomi a chi vuole avvicinarsi, o riavvicinarsi o pratica il mondo del bianco e nero, vi assicuro che usando il medio formato poi i conti tornano una volta inserito il negativo nell’ingranditore: una gamma tonale senza pari rispetto al formato 135 e un miglior controllo della grana.
Victor Hasseblad si è certamente ispirato a Rolleiflex quando ha concepito il suo gioiello, e ha ribaltato il concetto: l’unica cosa che le accomuna è la fabbrica delle ottiche, la Zeiss, per il resto Hasseblad è una fotocamera di una duttilità incredibile, ottiche intercambiabili, magazzini intercambiabili, schermi di messa a di fuoco e sistemi di visione intercambiabili. Una macchina quindi che si adegua molto più facilmente alle esigenze del fotografo ma non riuscirà mai a superare il blasone leggendario che ammanta Rolleiflex, nonostante sia una macchina di tecnologia superiore, e nuovamente, in grado di essere assistita dai fotoriparatori. E infatti non è un caso che molti posseggano tanto Rolleiflex che Hasseblad. La monogamia in fotografia è difficile da sostenere….
a giudicar, sì come quei che stima
le biade in campo pria che sien mature;
ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima
lo prun mostrarsi rigido e feroce,
poscia portar la rosa in su la cima;
e legno vidi già dritto e veloce
correr lo mar per tutto suo cammino,
perire al fine a l’intrar de la foce.
( Dante Canto XII del Paradiso – con riferimenti a San Francesco)
E’ poi diventato il logo di alcune delle collane più prestigiose di Mondadori.
In su la cima è anche una delle ultime raccolte postume di poesie di Eugenio Montale; inoltre all’età di 72 anni, nel 1968 – Montale si spense nel 1981, conobbe Annalisa Cima ( In su la cima… ), che fu per anni la sua ultima Musa ispiratrice. Il tutto, compresa l’autenticità di questa raccolta postuma di poesie, e tutt’ora avvolta dal mistero.
Sta di fatto che come ho già detto, il disegno stilizzato, quasi un ex libris che compare sulla copertina della prima edizione di queste poesie, è poi diventato il logo di Mondadori. La mia personalissima sensazione, banale, è che per arrivare in cima, in vetta, in questo caso a una rosa, devi percorrere un cammino difficile e doloroso, non alla portata di tutti. Ed è in questo modo, che non a caso nell’ultimo paragrafo, presento IL BRAND fotografico: Leica.
Fiumi? Estuari, mari. Di Leica si è scritto come di nessun altro brand fotografico al mondo. Grazie a Oskar Barnack, il genio che semplicemente ruotando di 90 gradi la pellicola cinematografica 35mm inventò Leica, ancora oggi il formato 24x36mm è il cosiddetto full frame, ,o standard, il riferimento mondiale per tutte le fotocamere, escluse le medio formate e formati digitali di misura inferiore. Costruite per non rompersi ma al contempo per essere facilmente revisionate – da mani esperte – Leica è stata la Regina delle fotocamere del 900, impugnata da tutti i più grandi fotografi dell’epoca. In oltre cento anni di storia non è essenzialmente mutata: mirino galileiano, messa a fuoco a telemetro, se escludiamo, come si vede nelle due immagini sovrastanti, il passaggio dall’innesto ottiche M39 – Leica I e a seguire, qui è raffigurata una IIIf ) alla baionetta M Mount ( Leica M3 ) nulla è cambiato, e ancora oggi le Leica digitali più blasonate hanno ancora il medesimo innesto ottiche, il medesimo mirino galileiano, la medesima messa a fuoco a telemetro. Proverbiali da sempre le sue ottiche ( non dimentichiamo che Leitz come Zeiss iniziarono producendo microscopi, dove l’ottica non deve essere solo perfetta, ma divina ), proverbiale la robustezza, la mancanza per decenni di qualsiasi contaminazione elettrica o elettronica, Leica ancora oggi rimane un, anzi, IL caso a parte. Desiderata da tutti, da uso, da collezione, semplicemente da poter dire a sè stessi: ce l’ho anch’io. Ma non basta comprare una F1 per saperla guidare, e sono infatti stati in pochi a saperla dominare nel 900 riuscendo a trarne alcune delle foto più iconiche nella storia dell’umanità. Leica, tra tutti i brand, è quello con la minor svalutazione nel tempo, anzi, di solito nel tempo il valore tende a salire. Nonostante l’approssimazione dell’inquadratura a causa del mirino galileiano, la difficoltà della messa a fuoco telemetrica – il conseguente sfuocato è possibile solo immaginarlo, prima che la foto venga stampata, la necessità di dover, oltre che inquadrare e focheggiare selezionare il corretto diaframma e relativo tempo di posa – alla faccia dell’iperfocale – la rendono veramente una rosa impossibile da strappare, ma difficile anche solo da accarezzare. E è per questo che è piaciuta, piace e sempre piacerà, perchè ogni volta che viene impugnata è una sfida. Varianti, obiettivi, condizioni d’uso e tutto il resto la rendono una fotocamera non alla portata di tutti, anche se un modello con innesto a vite o una M d’uso con un obiettivo relativamente poco luminoso, hanno un prezzo accettabile, nel senso adeguato alla maggior parte delle tasche degli apassionati e dei professionisti.
E qui mi fermo, non ci sono parole, oltre a quelle che giù ci costellano, per descrivere Leica.
Questo nostro viaggio finisce qui, metto il cappuccio alla penna, o più probabilmente chiudo il computer e vi consegno questo piccolo lavoro, sperando da un lato di avervi distratto un pò, dall’altro di avervi dato una pur pallida idea di quante fotocamere, MF o AF, allignano nel mondo, in attesa solo di essere caricate e utilizzate
Alla prossima, auguro il meglio a tutti.
Gerardo Bonomo