Leica IIIf e Nikon FE. Telemetro contro reflex. Chi vincerà?
Una Leica III f con Elmar 5 cm f/3.5 e una Nikon FE con 36/72mm f/3,5 E. Rollei Superpan 200 contro Rollei Retro 400S. Chi vincerà? Il telemetro o la reflex? La Superpan o la Retro 400s?
Buona visione e buona lettura a tutti.
Messa a fuoco a telemetro o messa a fuoco reflex?
Un paragone estremo, tra due sistemi di messa a fuoco completamente diversi.
Ma sta di fatto, che nel mondo della pellicola, i due sistemi ancora coesistono.
Così ho voluto provare a scattare con due fotocamere profondamente diverse, e alle quali sono molto legato: Leica IIIf e Nikon FE. Al contempo ho, più che confrontato, usato due pellicole simili ma non uguali, la Rollei Superpan 200 e la Rollei Retro 400S. E ancora, ho sviluppato la Rollei Superpan 200 con il Monobagno dxONE di LineAg+ e la Rollei Retro 400S con il Bellini Hydrofen, alla diluizione 1+31. Il tutto utilizzando una tank daylight, la LAB BOX, erede della mitica e intramontabile Rondinax di Agfa. Più che confronto, quindi, differenti interpretazioni di percorso, ma sempre sul sentiero argentico. I risultati? Interessanti. Il vincitore? Nè uno nè l’altro sistema, ma, indubbiamente, il genuino percorso argentico.
Leica IIIf
Leica IIIf, che dire? Si è detto e si è scritto tutto e in molti casi da Autori con la A maiuscola, che hanno una conoscenza del blasonatissimo marchio tedesco che va al di là dell’immaginabile. Quindi me ne guardo bene da infilarmi in qualche roveto ardente e la tratterò più in un modo romanzesco e autobiografico che tecnico.
Da un punto di vista autobiografico fu la mia macchina per un paio d’anni alla fine degli anni ’70. La portai anche a militare, lasciandola nell’armadietto per il 95% del tempo, visto che era incompatibile con la dotazione di un soldato semplice. Neanche per un momento pensai che mi sarebbe stata sottratta e così fu. Dotata di un Elmar 5 cm ( amo questo modo di concepire la focale in centimetri anzichè in millimetri ) e di un esposimetro esterno Gossen Sixtomat è stata il mio strumento fotografico con cui mi doveva adattare a fare tutto.
Gossen Sixtomat
Il Sixtomat era un’esposimetro concepito negli anni ’50 da quella che allora era la più importante azienda mondiale nella produzione di esposimetri e termocolorimetri. Dotato di una cellula al selenio, ovvero privo di batterie, come la IIIf, aveva una particolarissima saracinesca che a prima vista sembrava servisse per proteggere la fotocellula, ma che in realtà trasformava l’esposimetro da luce riflessa a luce incidente. Devo confessare che la cosa per me non fu immediata, ero convinto appunto che si trattasse solo di una protezione. Comunque, con la sua catenella dorata fu mio compagno fedele per molti anni. Inutile dire che scattavo solo in bianco e nero, e quindi una qualsivoglia lettura esposimetrica approssimativa non aveva un impatto devastante sui miei fotogrammi.
Giacché ci siamo…
Visto che parliamo di esposimetri, anche per questo lavoro, A PRESCINDERE, ho usato un esposimetro Sekonic Flashmate L 308 x, naturalmente soprattutto in misurazione incidente, tanto con gli scatti realizzati con la Leica che per quelli realizzati con la Nikon FE la quale ha sì un esposimetro incorporato, ma che misura in media ponderata al centro TTL in luce riflessa. Come ho scritto, riscritto e trascritto migliaia di volte, avere nel proprio corredo un esposimetro in grado di effettuare misurazioni in luce incidente è di fondamentale importanza. E’ vero che la pellicola bianco e nero è in grado di incassare da due a tre stop di sovraesposizione, ma se si sottoespone ci si ritrova facilmente con un fotogramma estremamente debole, che necessiterà di una stampa in gradazione 4 o addirittura 5, esasperando in questo modo grana e contrasto, e avendo comunque perso la maggior parte dei dettagli nelle ombre.
Torniamo alla Leica IIIf
Vi accennavo che mi terrò lontano da approfondimenti che sono già stati scritti e in modo esemplare da diverse firme che conoscono alla perfezione la storia di Wetzlar.
La Leica IIIf è stata la penultima Leica dotata di attacco filettato M39 per gli obiettivi e di doppio micromirino, uno per la focheggiatura a mezzo telemetro, l’altro per l’inquadratura – senza correzione della parallasse.
MORE MAIORUM ( Motto della Légion étrangère ) : ALLA MANIERA DEGLI ANTICHI
O ANCHE “LA BANDERA – MARCIA O MUORI ( straordinario film sulla legione straniera del 1977 ) potrebbe riasumere in modo chiaro cosa significa utilizzare una Leica a vite, e mi sto limitando solo al sistema di focheggiatura e inquadratura. Guardate i due mirini, a sinistra quello doppio della IIIf e a destra quello singolo della M6. Si passa dagli stentorei 2mm per i due mirini della IIIf ai 16mm della M6, e si passa da un doppio mirino senza controllo della parallasse a un singolo mirino, con controllo della parallasse e cornicette delimitatrici del formato in base all’obiettivo montato. Sembra incredibile ma per Leica questa è stato il sistema di inquadratura/focheggiatura dal 1925 fino al 1957, anno di presentazione della Leica IIIg, l’ultima Leica a vite. Abbiamo sempre due mirini, ma circolari e con diametro leggermente superiore oltre che alla cornicette luminose per reinquadrare l’angolo di campo del 50mm e del 90 mm. e alla correzione della parallasse. Questo “incubo” finisce in realtà nel 1954 ( Leica ha mantenuto contemporaneamente in produzione la IIIf, la IIIg e la M3 ) con l’arrivo appunto della M3, la prima Leica con innesto ottiche a baionetta – tutt’ora immutato, anche nei modelli digitali a telemetro – e mirino tondo, dal diametro, come si nota nelle foto, ENORMEMENTE superiore rispetto ai modelli a vite, e finalmente telemetro integrato nel mirino.
Ma come hanno fatto dal 1925 al 1954 ? ( e ancora oggi… )
Spiegare a parole o con immagini cosa significhi dover traguardare il mirino di una Leica a vite è impossibile. Bisogna provare per credere, pensando che oggi, tra l’altro, il 99% delle “foto” vengono scattate con gli smartphone, usando quindi un “mirino” live view non di 15 millimetri ma di 15 CENTIMETRI !!
Sta di fatto che centinaia di migliaia di fotografi, tra i quali annoveriamo alcuni dei più Grandi nella storia della fotografia, hanno scattato con Leica a vite e rigorosamente disponendo solo di un 5cm di focale, senza fare una piega, anzi, lasciando all’umanità alcune delle fotografie più iconiche della Storia. Tuto questo per affermare, in un momento in cui i prezzi delle Leica M sono saliti alle stelle, causa domanda che supera abbondantemente l’offerta, entrare nel mondo Leica dalla porta della “vite” non è un’idea così sbagliata, e non solo da un punto di vista economico: le Leica a vite pesano e hanno ingombri della metà rispetto a una Leica M e, pur avendo le ottiche intercambiabili, quale miglior scuola di vita che approcciare alla fotografia a pellicola con una sola focale, e sforzandosi di adattarsi ai microscopici mirini di una vite. In ogni caso, l’avvento del sistema M, mirino compreso, non è passato inosservato neppure a Leica stessa: è facile interpretare la copertina del manuale di istruzioni della M3 qui sopra riportata: il fotografo punta verso il soggetto e dalla fotocamera scaturisce un solo “raggio”, a significare che, finalmente, è possibile inquadrare e telemetrare senza far ballare il tango all’occhio spostandosi da un mirino all’altro
Senza contare,comunque, volendo, che una Leica a vite con una Elmar 5 cm si usa per fotografare, ma l’obiettivo, una volta staccato dal corpo macchina, può essere montato su qualsiasi ingranditore per stampare le foto scattate, e vi assicuro che è un’esperienza impagabile, di cui vi ho già resi partecipi qui:
ABLON ABCOO
Sembra una sciarada per invocare qualche spirito nelle tenebre, e invece sono i nomi rispettivamente della dima e del cutter che servono per sagomare correttamente gli ultimi 10 cm della coda della pellicola per far sì che entri correttamente nella fotocamera. Molti si saranno già chiesti perchè Leitz, per i suoi accessori, abbia usato nomi che non sono credo neppure gli acronimi del prodotto che rappresentano, e in più sembrano acronimi italiani. Passi per Stipel, Società telefonica interregionale piemontese e lombarda, nata come STEP, Società telefonica piemontese, e integrata poi nella SIP, Società Idroelettrica Piemontese, commutata poi in SIP – Società Italiana per l’Esercizio delle Telecomunicazioni S.p.A. e ancora in TELECOM, Telecommunications Company e attualmente in TIM, Telecom Italia Mobile ( mi sono sempre chiesto se Tim Burton ha un contratto Tim o Vodafone … ) . Tornando alla nostra fida Leica, nonstante leitz si preoccupò di fornire ai suoi clienti dima e cutter, la rastrematura della coda può anche essere fatta con un paio di forbici, guidati dalle istruzioni serigrafate all’interno della fotocamera, istruzioni essenziali che Leitz serigrafò all’interno della macchina come memento da un lato, e sapendo che quasi nessuno girava con le istruzioni in borsa. Le istruzioni sono in quattro lingue, tedesco, inglese, francese e… udite udite… ITALIANO !!!!. Forse Leitz, sapendo che noi italiani siamo usi accantonare qualsiasi libretto di istruzioni, lasciandoci trasportare dal nostro innato ingegno e intuizione, ci ha serigrafato, al posto di lingue, sicuramente oggi più diffuse, come lo spagnolo. proseguendo tra le foto sopra questa didascalia, la foto del rocchetto che va estratto dalla Leica e nel quale si inserisce la coda della pellicola, il tutto, appunto, senza dover impegnae le dita in spazi troppo angusti; ho fotografato il rocchetto due volte, nella immagine di destra notate una freccia formata da una serie di punzonature: se si inserisce correttamente la coda nel rocchetto, la freccia appare piano piano, complice anche il fatto che la coda va inserita con l’emulsione. più chiara dello strato antihalo, verso l’alto. Quasi per magia, man mano che la coda si impegna correttamente ecco che la freccia appare fino a che appare un segmento dritto, che sta a significare da un lato che tutta la parte necessaria della coda è stata inserita, dall’altro che la coda ha “scavalcato un fermo di metallo affilato che blocca perfettamente la pellicola. E’ quasi impossibile, seguendo queste poche istruzioni, dopo aver posizionato la pellicola vergine e il rocchetto nei rispettivi alloggiamengti, che durante le prime fasi di riarmo, la coda si stacchi. In una immagine vediamo anche il contenitore per pellicole originale Leitz, chiamato…. FILCA. Il motivo è ovvio: nel 1925, anno del debutto della prima Leica sl mercato, non esistevano ancora i rullini 24x36mm: i possessori di una leica dovevano comprare la pellicola cinematografica e bobinarla su appositi caricatori, appunto i FILCA, dotati di un sistema SURREALE di blocco dell’apertura durante la manipolazione alla luce, che si apre automaticamente quando la chiavetta AUF viene posizionata su ZUF. Non so voi, ma io, quando vedo soluzioni di bassa tecnologia, come la freccia che appare solo se la coda è caricata correttamente, le istruzioni vitali serigrafate all’interno di un corpo macchina, l’assenza di guarnizioni ( anche il FILCA non aveva alcun tipo di guarnizione !!!! ) m metto a ragionare sul modo di concepire gli oggetti appoggiandosi alla relativamente semplice meccanica, e quello odierno, appoggiata ai sofisticati numeri binari. Sta di fatto che queste Leica IIIf hanno settant’anni di duro lavoro sulle spalle, funzionano ancora perfettamente e non è mai stato necessario aggiornare il firmware. Meditate gente, meditate!
Diamo tempi al tempo
La Leica IIIf dispone di una doppia ghiera dei tempi, cosa inusuale, se non quasi unica tra le fotocamere del ‘900 e non solo. La prima ghiera permette di impostare la velocità di traslazione delle tendine in stoffa da 1/1000 fin a 1/25 di secondo, oltre alla posa B ( Bulb: all’epoca si presumeva che la fotocamera venisse collegata agli scatti formati da un tubetto e una peretta che con la semplice forza dell’aria riuscivano a premere a distanza il pulsante di scatto e a lasciarlo premuto, quindi con le tendine aperte, fino a che la pressione sulla peretta non veniva allentata ) Nel momento in cui la ghiera è impostata su 1/25 di secondo, si accede alla regolazione della seconda ghiera, quella dei tempi lenti. Una doppia genialata: da un lato la doppia ghiera permette di abbracciare un numero doppio di tempi impostabili, dall’altro avverte l’utente che si sta entrando, appunto, nel novero del tempi lenti, quindi potenzialmente responsabili di immagini affette da micromosso. Sulla ghiera dei tempi lenti è anche presente la posa T, ( Time ) che è rimasta piuttosto rara sulla maggior parte delle fotocamere prodotte successivamente e non solo da Leica: è sufficiente premere una sola volta il pulsante di scatto perchè le tendine si aprano e si mantengano aperte fino a che, manualmente, si ruota la sottoghiera dei tempi portandola su 1 secondo di posa.
La posa T, diffusissima sulle folding e sulle fotocamere dei primi del ‘900, si è persa per strada, anche se è riapparsa a macchia di leopardo negli anni succcessivi, per esempio sulla Nikon F3
ZU – AUF
Chiuso, aperto. Buona la prima: Le Leica a vite non hanno un dorso incernierato come le normali reflex, e una sorta di dorso apribile di controllo arriverà solo con la M3. Basta quindi rimuovere il fondello per accendere ai vani dove andrà posizionata la pellicola. L’immenso vantaggio di questo sistema è che le Leica a vite, come le Leica M, del resto, NON hanno guarnizioni di sorta come qualsiasi reflex e molte fotocamere a mirino galileiano. Tenendo presente che le guarnizioni nel tempo, qui parliamo di mezzi secoli per volta, una volta ricavate da corda annerita, poi dal neoprene – che ha più tenuta ma tende irreversibilmente a decomporsi negli anni – devono necessariamente essere sostituite, sulle Leica a vite, non essendo presenti, non hanno ovviamente bisogno di essere sostituite. E questo è l’aperitivo di una sorta di soluzioni tecniche che hanno consentito alle fotocamere Leica di lavorare per decenni senza alcun tipo di manutenzione, al netto del fatto che il progetto e relativo assemblaggio era studiato anche in modo da rendere più agevole sia la manutenzione ordinaria che quella straordinaria. ZU – AUF significa anche che perfino l’uomo più distratto del pianeta non può inavvertitamente aprire il dorso senza ricordarsi che all’interno c’è un rullino, magari già mezzo esposte. Staccare il fondello da una Leica non è istintivo come aprire il dorso di una reflex. Neanche il NULLA, in Leica, è lasciato al caso.
Yashica era distribuita in Italia da Fowa ( come Hasselblad, Metz, Gepe, Contax, Cokin, Minox e chi più ne ha più ne metta. Al pari di altri marchi importati, nella confezione l’utente trovava una sorta di carta di credito con la matricola del prodotto e una garanzia cartacea da compilare e spedire in Fowa. La “carta di credito” veniva poi rispedita al cliente con punzonato il suo nome e cognome, a garanzia e dimostrazione che quel prodotto era di sua proprietà – utile per esempio quando si andava all’estero per dimostrare che il prodotto era appunto di proprietà e non acquistato all’estero e quindi passibili dei dazi doganali – , e per far valere la garanzia nei confronti dell’importatore. Fowa, attraverso il suo laboratorio di assistenza interna, la L.T.R. – tuttora operativo sia per i prodotti importati da Fowa che da Nital – era in grado di effettuare qualunque tipo di manutenzione o riparazione. Alla faccia delle garanzie compilate online….. e dell’assistenza con invio del prodotto oltr’alpe…..
Ho avuto l’onore di conoscere la compianta Signora Helga Winkler, che per decenni è stata l’anima pulsante di Fowa e che già in tempi NON sospetti, aveva capito, con grande lungimiranza , che per porsi sul mercato in modo vincente erano necessarie innanzitutto tre cose: avere eccellenti collaboratori, scegliere i migliori prodotti da importare e soprattutto assisterli in modo IMPECCABILE sia durante gli anni di garanzia che a garanzia scaduta.
Purtroppo non solo abbiamo perso la Signora, ma anche lo stampo ( al netto delle attuali eccezioni, a cominciare appunto dall’inossidabile Gruppo Fowa/Nital )
NOOKY: niente Ketoprofene e sali di lisina eppure il il mal di testa passa lo stesso…
– NOOKY! ( Carneade! ) Chi era costui? ruminava tra sè don Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza al piano di sopra, con un libricciuolo aperto dinanzi – ( I promessi sposi, capitolo VIII ). Libricciuolo, quando leggo anche una sola riga, anzi, parola, scritta dal Manzoni mi viene voglia di non pagare più il dominio del mio sito in modo che ridiscenda negli abissi dei numeri binari da cui è venuto. Se avete avuto la bontà, o la Bonomia di seguirmi fin qui, tenendo a mente che non state leggendo un trattato tecnico su Leica ( su questo lascio la parola a due GRANDI del mondo dell’alta divulgazione tecnica fotografica, come, in ordine analfabetico, Marco Cavina e Pierpaolo Ghisetti, – a loro dobbiamo approfondite e perfette spiegazioni di moltissime fotocamere del ‘900 oltre che alla realizzazioni di libri di tecnica fotografica monografici su speicifici prodotti, la maggior parte, guarda caso, su Leica – e non dimentichiamo il compianto Ghester Sartorius ) continuiamo con le nostre semiassennate divagazioni.
NOOKY,
Si tratta di una numerosa serie di anelli di prolunga variabili, dotati di elicoide, forniti di delimitatore d’immagine e di lente di correzione, da applicare tra macchina ed obiettivo, per correggere l’errore di parallasse che si presenta fotografando soggetti sotto il metro di distanza con una macchina a telemetro e delimitare pertanto con esattezza il campo inquadrato. Possiedono l’accoppiamento telemetrico. Ne esiste una nutrita tipologia in base al tipo di obiettivo impiegato. Erano stati pensati per una fotografia a distanza ravvicinata a mano libera.
NOOKY, creato nel 1935 per l’Elmar 5cm f/3,5 rientrante: permette di avvicinarsi, grazie al proprio elicoide, sino a 45cm, poi ulteriormente migliorato sino ad un rapporto di 1:7,5. Cromato con unità ottiche nere. ( Fonte: Pierpaolo Ghisetti )
Dopo aver citato l’assolutamente attendibile fonte, vi dico la mia esperienza con il NOOKY: io ho cominciato scattare con Leica IIIf e Elmar 5 cm nel 1978 e fino a 48 ore fa, non sapevo neppure dell’esistenza del NOOKY, ho subito quindi con obbedienza la minima distanza di messa a fuoco del Elmar,, 90 cm, per decenni, per scoprire, “giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questa pergamena testimonianza degli eventi mirabili “– ( Il nome della rosa, Jean-Jacques Annaud, 1986 ) in cui mi sono imbattuto dopo aver montato il NOOKY tra la IIIf e l’Elmar: non si tratta solo del fatto che sono potuto arrivare alla minima distanza di fuoco di 45cm, che non è parente nè da parte di madre nè di padre dei canonici 90 cm, nè del fatto che il NOOKY non riporta una scala metrica ma una scala di rapporti di riproduzione (!!!) evitando così l’annoso problema delle ottiche prodotte con la scala delle distanze in piedi per il mercato anglosassone e in metri per il resto del modo uso al sistema metrico decimale e neppure del fatto che una volta in posizione davanti a una delle finestrelle del telemetro si posiziona una diottra che rende perfetta la focheggiatura telemetrica e davanti al mirino un delimitatore di formato. ma la cosa che più mi ha capito è COME l’Elmar va montato sul NOOKY. Dunque, il NOOKY si monta sul corpo Leica al posto del Elmar, quindi con il classico attacco a vite M39, e fin qui siamo capaci tutti, magari siamo meno capaci, dovendo avvitare l’obiettivo, di creare una filettatura così perfetta che una volta che il NOOKY è serrato sul corpo macchina la diottra e il delimitatore di formato si posiziona con una collimazione al decimo di millimetro davanti al telemetro e al mirino. Ma il punto è un altro, il punto che mi ha fatto ” ribaltare”: Leitz avrebbe potuto dotare il NOOKY, oltre dell’attacco maschio M39 per il collegamento alla macchina, un attacco femmina anteriore, sempre M39 per avvitare l’Elmar. Eh no, troppo facile. Leitz cosa ha fatto, ha visto che l’Elmar, progettato PRIMA del NOOKY ha una sorta di attacco a baionetta che serve per mantenere bloccato in posizione di lavoro l’Elmar, che è collassabile, quindi in posizione “estrusa”. Visto che collegato al NOOKY non era necessario mantenerlo in posizione estrusa, perchè la focheggiatura la si ottiene attraverso l’allungamento del NOOKY, quella baionetta in quel momento superflua, è stata utilizzata per agganciare l’Elmar al NOOKY. Come dire, venticinque anni prima che Leica presentasse la M3 con l’attacco a baionetta, aveva già progettato in sistema di attacco di un obiettivo nato a vite per essere collegato a baionetta, tra l’altro, quindi, estremamente facile da agganciare e staccare. Per capire la differenza, provate a montare un’ottica a vite Leica: la filettatura ha più giri o gironi della Divina Commedia, e non è proprio istantaneo sia il montaggio che lo smontaggio.
Mistico.
Vi ho avvertito che avrei fatto una trattazione piuttosto romanzesca, che concludo ricordando, come ho riportato nell’altro articolo sulla IIIf e la Ferrania P30, che quando si scatta con una Leica a vite, è possibile montare l’ottica da presa sull’ingranditore. Cercate di provare a pensare cosa signfica scattare una fotografia con un obiettivo, l’immagine attraverso la lente frontale, si “posa” sull’emulsione e genera l’immagine latente. Poi, una volta sviluppato il negativo, la stessa immagine viene proiettata sul foglio di carta e focheggiata attraverso lo stesso obiettivo da presa, ma invertito, quindi l’immagine attraversa la lente posteriore per poi “posarsi£ sul foglio di cartoncino baritato. Ninente di nuovo per Leitz, come già spiegato, visto che negli anni ’30 esisteva già un dispositivo per diaframmare l’Elmar quando era montato sull’ingranditore, ma vi posso assicurare che per noi mortali è un’esperienza sublime.
Anche NOOKY è un acronimo, di cui per ora ho decifrato solo le prime due lettere, la N, che sta per nahistellgerat che in tedeco significa letteralmente dispositivo di primo piano, e la O che sta per optisches che significa ottico. Per le altre tre lettere ci sto lavorando….
CUIQUE NOOKY SUUM
Leitz ovviamente non ha prodotto un solo modello di NOOKY, ovvero il modello per l’Elmar 5cm, ma anche altri modelli, come quello qui raffigurato, progettato appositamente per il Summar, si tratta del Nooky / Nookyhesum qui montato su una Leica IIIa con Summar 5 cm f/2
HESUM è l’acronimo che sta a indicare la compatibilità con ben tre differenti ottiche: Summar, Hektor, e Summitar. Per ulteriori dettagli e non solo sul NOOKY rimando alla sapiente penna di Pierpaolo Ghisetti
Senza ” disturbare venditori esteri, siano esSi commercianti o privati, nel momento in cui chiudo questo articolo ho rinvenuto in più di un negozio di fotografia italiano diversi NOOKY a un prezzo che io ritengo davvero risibile, visto il livello di trasformazione miracolosa che è in grado di compiere quel innocuo tubo su un Elmar: si parla di una cinquantina di Euro, lo stesso prezzo del tubo di prolunga Nikon PK13, che montato sul Micro Nikkor 55mm porta il rapporto di riproduzione a 1:1. Va anche calcolato che il NOOKY non è un semplice tubetto di ottone visto che monta anche una lente che va a anteporsi a una delle finestrelle del telemetro e un mirino che va a correggere l’area inquadrata dal mirino della fotocamera.
Anche NOOKY è un acronimo, di cui per ora ho decifrato solo le prime due lettere, la N, che sta per nahistellgerat che in tedeco significa letteralmente dispositivo di primo piano, e la O che sta per optisches che significa ottico. Per le altre tre lettere ci sto lavorando….
Un selfie, un mezzo sigaro toscano e una croce da cavaliere non si negano a nessuno ( Re Vittorio Emanuele II )
Leica IIIf è stata prodotta con e senza l’autoscatto. Esteticamente, gli esemplari che ostentano a fianco dell’obiettivo hanno un’estetica ancora più appagante e danno l’idra di una maggiore complicazione, tra la seconda ghiera di tempi lunghi e la leva dell’autoscatto. Quando si attiva l’autoscatto, come ho mostrato nel video, si nota che il pulsante di scatto lentamente si abbassa fino a scomparire, a questo punto le tendine si aprono, il pulsate di scatto torna istantaneamente in posizione e la ghiera dei tempi veloci come un rapido giro su sè stessa. L’autoscatto è importante quando si vogliono attivare i tempi, specie quelli lunghi, quando si è sprovvisti di scatto a filo. E parliamo anche dello scatto a filo: tutte le Leica a vite non accettano il tradizionale scatto a filo che si avvita nella filettatura presente sul pulsante di scatto, ma è necessario togliere il piccolo affusto circolare di protezione e sostituirlo con un particolare scatto a filo dedicato, quello raffigurato nella foto è il Nikon AR-2 che venne progettato per le Nikon a telemetro e le Nikon reflex della serie F e F2. Era anche denominato ‘Leica-clock’ . Quello oroginale Leitz è chiamato FINOT.
E la Nikon FE?
Nella prova, giusto per complicarsi la vita, ho tirato in ballo anche la Nikon FE, armata con un apparentemente ridicolo zoometino 36/72mm f/3.5 per di più della serie E, che sul campo si è rivelato di una qualità insospettabile.
Volete che vi parlo della Nikon FE, che la uso dal 1980? Non leggereste mai questo articolo perchè non lo finirei mai.
In una parola: tempi di posa selezionabili da 1/1000 fino a 8 secondi più Ae, priorità di diaframmi. In priorità di diaframmi Nikon dichiara un’esposizione automatica fino a 30 secondi, nella pratica, in condizioni di scarsissima luminosità, arriva tranquilla fino a 5 minuti di posa.Compatibile ANCHE con i primi obiettivi F, ha un singolo tempo meccanico di 1/90 di secondo, e senza la sua batteria da 3V non funziona nè l’esposimetro nè l’otturatore. esattamente come la Leica M7 e tante fotocamere che necessitano in qualche modo di corrente elettrica che sono state snobbate – non mi riferisco alle Nikon ma per esempio alla M7 – per il fatto che appunto dipendono da una batteria.
Allora, io vorrei, presenti esclusi, significare che senza batteria non funzionano gli smartphone, i tablet, le chiavi elettroniche di accensione delle automobili, i telecomandi dei cancelli e dei televisori, i computer portatili e, diciamolo, i pacemaker. Allora, cosa vogliamo fare? per coerenza rinunciamo a TUTTI i nostri device e non ristabialiamo, quando, necessario la funzionalità cardiaca? Com diceva Diego Abantantuono in Marrakesh Express di Gabriele Salvatores: ” MA PER PIACERE !!! “
Torniamo alla FE, l’ho acquistata nel 1980, ha quarant’anni e fino ad oggi ho dovuto cambiare una sola volta le guarnizioni di battuta dello specchio e del dorso e, lo ammetto, diverse volte la batteria. Per il resto ha macinato più di 300.000 scatti – negli anni ’90 l’hoadoperata pe rirpodurre decine di migliaia di diapositive e ancora oggi non fa una piega. Nel mirino, come di consueto, si legge il diaframma impostato attraverso un micropersicopio che legge la scala dei diaframmi miniaturizzata in una seconda ghiera coassiale sincronizzata alla prima. La scala dei tempi è visibile lungo il lato corto di sinistra, una barretta azzurro verde indica il tempo impostato, un ago indica il tempo suggerito dall’esposimetro; pulsante per il controllo della profondità di campo, assenza del pulsante per il sollevamento manuale dello specchio ma che può essere mutuato agendo sull’autoscatto che una volta attivato per prima cosa, appunto, solleva lo specchio e in accoppiata con la priorità di diaframmi, ovvero pose fino a 5 minuti, fa egregiamente le funzioni dello sctato a filo che regolarmente si dimentica a casa. Staratura intenzionale dell’esposizione, controllo dello stato di carica della batteria SURREALE a mezzo diodo rosso annegato in un bottoncino nero: man mano che la batteria si scarica il diametro della luce del diodo si riduce, dandoti un’idea ben più precisa della carica restante rispetto ai sistemi successivi che prevedono l’attivazione dell’esposimetro e poi l’attesa, di norma di 15 secondi, durante i quali, se l’ago dell’esposimetro non crolla in posizione di riposo significa che la batteria ha della carica. Ma quanta? La FE è stata ed è la compagna di ttta una vita. Anche se ho anche quel miracolo della Natura che è la Nikon FM3A e la Nikon F3HP non ho dubbi: se mi dovessero mandare sull’Isola che non c’è dei fotografi e mi obbligassero a scegliere di portare con me una sola fotocamera 35mm, sceglierei la FE. Con un centinaio di batteria al litio da 3V. E il giorno che finissero le batterie, mi accontenterei dei due tempi meccanici, 1/90 di secondo e la posa B.
Cosnigli per gli acquisti.
Nikon FE ha generato la FE2, TTL flash – inutile, 1/4000 di secondo – inutile -dente di disaccoppiamento dell’esposimetro bloccato su on, quindi incompatibile con le ottiche F, stessa storia per la FM2 e sulla mia PREDILETTA FM3A. Sulla F3 la leva può ancora essere disaccoppiata. Io quasi quasi mi fermerei qui, rimandandovi ad altri articoli dove parlo in modo più approfondito della FE:
Tahoo
Leitz iniziò a occuparsi di un progetto per una tank daylight nel 1930 e presentò la TAHOO. Non riscosse un grande successo, ebbe fortuna migliore quando coprodusse, o quantomeno marchiò anche con il suo nome quella che io ritengo tutt’ora la migliore tank daylight nella storia della Fotohrafia; poi venne dismessa anche questa produzione e Agfa continuò per la sua strada, avendo cominciato con la Rondix, per passare alla Rondinax 35U che produsse in due differenti verdioni, entrambe con termometro integrato per un controllo istantaneo della temperatura della chimica di sviluppo. L’ultimo modello si riconosce facilmente dalla manopola bianca. Agfa produsse anche la Rondinax 60, per lo sviluppo delle pellicole 120; più complessa per quanto riguarda il caricamento, era comunque perfettamente funzionante. Di recente è stata introdotta sul mercato la LAB BOX, un progetto della italiana Ars Imago. la parte wet è condivisibile con i due differenti modulo di caricamento, il Modulo 135 e il Modulo 120. Siamo alla prima versione, che ha delle evidenti innovazioni sul piano della compatibilità tra pellicole 135 e 120, ma nel kit che comprende entrambi i Moduli sono presenti le spirali, differenti per i due formati, spirali che per passare da un formato all’altro devono ogni volta essere smontato, causa il fatto che il pignone centrale e la fettuccia alla cui sommmità è serrata la pinza di aggancio è comune a entrambe le coppie di guance delle spirali. Auspichiamo un nuovo kit con due pignoni e alcuni miglioramenti. Non dimentichiamo che anche Rondinax, dal primo all’ultimo modello ha subito dverse migliorie. Tra i miglioramenti auspichiamo una nuova spirale per 135 che se usata con il Monobagno permetta di sviluppare anche il bordo della pellicola che impressionato dalla sequenza dei numeri dei fotogrammi e auspichiam una rivisitazione del modulo 120 il cui caricamento è piuttosto complesso. Auspichiamo anche, ma dipenderà dalla domanda, e quindi da un break even più ravvicinato, un cambio di prezzo – come succeder di default nel mondo dell’informatica. le tank Rondinax si trovano a fatica e non si sa mai in quali condizioni in rete, con prezzi oscillanti tra i 60 e i 150 Euro. Poter contare su una tank dayigjt nuova, in produzione e garantita è indubbiamente una cosa positiva. Se una volta era OBBLIGATORIO imparar a caricare al buio nella spirale le pellicole, oggi esistono le camere chiare, il mondo ha perso queste abitudini, e la possibilità di caricare alla luce alla pellicola permette a un neofita di poter caricare e poi sviluppare da sè i negativi con immensa facilità. Forse un prezzo più aggressivo, o più vicino al prezzo di una tank tradizionale o di una Rondinax usata aumentere gli utenti. Chi vivrà vedrà. Come ho già scritto, la Rollei Superpan 200 è stata sviluppata con 300ml di soluzione per 7 minuti in rotazione continua usando il monobagno dxONE della LineAG+, mentre al Rollei Retro 400 S in Bellini Hydrofen 1+31 per 18 minuti, usando 490 ml di soluzione, potendo in questo modo far compiere alla spirale una rotzione ogni 30″ così da non essere costretti a diminuire il tempo di sviluppo, caua agitazione continua, attraverso tabelle piuttosto complesse da decifrare. Di Rondinax e LAB BOX ho già parlato in diversi articoli a cui rimando fermandomi qui per quanto concerne la spiegazione di Rondinax e LAB BOX:
I risultati della Rollei Superpan 200 esposta con Leica IIIf e Elmar 5 cm. f/3.5, un alcuni casi con tubo di prolunga Nooky.
Leica si è comportata monto bene, altrettanto l’Elmar e il Nooky. la Rollei sviluppata in Hydrofen Bellini 1+31, al solito ha dato il meglio diè: grana virtualmente assente, gamma tonale spettacolare.
Nel momento in cui scriviamo una IIIf con Elmar 5 cm è reperibile nei negozi acclarati di fotografia italiani intorno ai 500 Euro; con Summitar 5 cm. f/2 e borsa pronto in cuoio originale 550 Euro.
In questo momento la serie M ha prezzi decisamente elevati: una M6 body arriva tranquillamente ai 2000 Euro a cui andrebbe aggiunto, magari, un obiettivo, quindi minimo 500 Euro.
Leica a vite, oggi, quindi, è una validissima alternativa ” se la possiamo considerare un’alternativa” al mondo M, e a prezzi decisamente e davvero abbordabili. Non dimentichiamoci che una Leica a vite ha dimensioni e pesi quasi del 50% inferiori a una M. Non la possiamo considerare una compatta ma…. quasi.
Vai di M39, quindi
I risultati della Rollei Retro 400S esposta con Nikon FE e Nikkor 36-72mm serie E
L’ho detto e l’ho ripeto: la Nikon FE è stata la mia PRIMA VERA MACCHINA.
E come dice Kathleen ( Robin Wright ) a Terry ( Sean Penn ): ” Dai Terry, il primo amore non si scorsa mai, lo sai, no. ” E quindi oggi, a 40 anni da quando inizia a usare la FE, pur pensando a tutte le altre fotocamere che ho usato, se mi dovessi trovare candidato a una Missione NASA ( impossibile ) e mi cheidessero di portare UNA SOLA SINGOLA fotocamera, non avrei alcun dubbio.
Mi ha abbastana inquietato, a dirla tutta la resa straordinario di quell’innocuo zoomettino, della serie E ( Economy ), il 36-72mm f/3.5 che ha dato risultati eccellenti anche lavorando a tutta apertura, senza dimenticare il fatto che la Rollei Superpan 200 che ho destinato a Leica, risolve
Conclusioni
Mi fermo, anche perchè credo che una settimana di lavoro sia il tempo massimo che si possa dedicare per realizzare un singolo articolo con relativo video…
La messa a fuoco a telemetro non è istintiva, soprattutto spiando attraverso le microscopiche feritoie del bunker Leica IIIf. Le cose vanno meglio con le Leica M ma rimane comunque il problema che bisogna abituarsi al fatto che attraverso il mirino galileiano, a prescindere dalla correttezza della messa a fuoco, non è possibile una lettura TTL tanto dei piani a fuoco che di quelli sfuocati, siano essi in primo piano che sullo sfondo, né tantomeno beneficiare della chiusura del diaframma per valutare direttamente quale guadagno di nitidezza si ottiene all’aumentare della profondità di campo. Terapia? Tanta, tanta, tanta pratica.
La messa a fuoco, qui manuale, reflex, è indubbiamente più chiara, soprattutto in questo caso, visto che sulla Nikon FE è montata di fabbrica uno schermo di messa a fuoco con corona di microprismi e telemetro ( !!! ) a immagine spezzata – purtroppo non a 45° – al centro. La possibilità di chiudere manualmente il diaframma prima dello scatto per una valutazione della profondità di campo è un altro grande vantaggio.
Per certo, le macchine con mirino galileiano, permettono di osservare il soggetto – soprattutto se parliamo di ritratto – DURANTE lo scatto, mentre sulle reflex nella fase di scatto il mirino è sigillato dal sollevamento dello specchio. Con i mirini galileiani, quindi, possiamo avere la certezza matematica, di previsualizzare il soggetto esattamente come risulterà impresso sulla pellicola, ovvero se nel momento in cui si apre l’otturatore ha, per esempio, gli occhi aperti, o se si sta muovendo o se ci sono stati dei repentini cambiamenti nella scena inquadrata.
Di nuovo, ci sono vantaggi e svantaggi in entrambi i sistemi: non esiste la fotocamera perfetta, così come non esiste nessuno strumento – prodotto da differenti aziende con differenti soluzioni – che sia davvero perfetto. La perfezione, parlando delle fotocamere, la si potrebbe raggiungere se venissero unite le migliori funzionalità di ciascun sistema in una singola fotocamera, cosa impossibile e certamente responsabile del fatto che ciascuno di noi ha almeno due fotocamere………
Cosa preferisco io, in confidenza, se non lo dite a nessuno? Il sistema reflex, a prescindere dal formato della pellicola. Senza dimenticare che le prime fotocamere erano reflex, parlo dei primi banchi ottici. Pur sprovviste di uno specchio, consentivano, e consentono tuttora la visione su un vetro smerigliato, l’inquadratura sul vetro smerigliato e la focheggiatura sul vetro smerigliato. No comment sul fatto che, parlando innanzitutto dei ritratti, lo scatto avviene nel momento in cui viene smontato il vetro smerigliato dalla standarta posteriore, o comunque, nei modelli più recenti, l’inserimento dello chassis tra il vetro smerigliato e il piano di fuoco, la chiusura dell’otturatore, l’estrazione della volet: le probabilità che il soggetto, se vivo e vitale, sia rimasto fermo, è piuttosto remota, ma questo continuo sfidare l’impossibile è il bello della fotografia argentica, se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno e non la bottiglia mezza vuota ( parola di astemio… )
Niente di nuovo sul fronte occidentale, quindi. Le macchine a pellicola funzionano per decenni e non vengono mai superate da nuovi modelli. Le pellicole continuano a offrire una risoluzione spaventosamente elevata, inferiore a un sensore digitale di ultima generazione ma sempre superiore alla risoluzione dell’occhio umano, già alla fine dell’Ottocento gli strumenti fotografici avevano abbondantemente superato il livello di dettaglio che è in grado di risolvere a occhio nudo l’occhio umano. Forse è il caso, ma già da oltre un secolo, quando si fotografa, a pellicola, di concentrarsi sulla ricerca del soggetto e dell’inquadratura, anzichè sulla ricerca dello strumento più perfetto di tutti. Gli ingrandimenti 30x che ho realizzato e che corroborano questo articolo parlando da soli: in un confronto assolutamente disomogeneo come questo, che ha visto scendere in campo da un lato una Leica IIIf degli anni ’50 con un Elmar 5 cm coevo su pellicola Rollei Superpan 200 e dall’altro una Nikon FE della fine degli anni ’70 con uno zoom a sua volta coevo e di costruzione e realizzazione apparentemente economica su pellicola Rollei Retro 400s, il livello di risoluzione e gamma tonale è assolutamente sovrapponibile e bastante per qualsivoglia “indagine” fotografica.
In un momento in cui sto combattendo con tre hard disk esterni da 4 TB ciascuno a cui continua a saltare il file system e che sto continuando a palleggiare tra un computer e l’altro per cercare di salvare i dati ( immagini comprese ) guardo i negativi da cui ho tratto le FOTOGRAFIE che corroborano questo articolo e mi riaffermo ancora di più nella convinzione, nella certezza, che la fotografia che presuppone una modifica di diversi materiali è stabile e mi sopravviverà ( oddio, non è che ci voglia molto.. ).
Così come sono al contempo certo che perderò la mia battaglia con i tre hard disk da 4 TB ciascuno e che sopravviverò a quei dischetti magnetici e capricciosi.
Meditate gente, meditate,
Buon tutto a ( quasi ) tutti.
Gerardo Bonomo
Ringraziamenti:
Matteo Biscuola Manazza, autore della maggior parte degli scatti su pellicola.
Angelica Giuranno che ha gentilmente prestato la sua epidermide con le splendide mire ottiche che la guarniscono ( Angelica è un’artista dell’immagine, che anzichè disegnare con la luce, come noi fotografi, disegna usando particolari inchiostri utilizzando l’epidermide dei clienti come “pellicola” . Risultato? Come nella fotografia argentica, immagini perenni, fatto salvo ricorrere al laser/erase…).
Felix Bielser di Punto Foto Group Milano per il supporto “consumabili” e la quotidiana battaglia che combattiamo virtualmente affiancati ogni giorno nella trincea argentica
Massimo Pinciroli e Roberto Marini di Apromastore per il supporto “luminoso” , o il “luminoso” supporto
Marco Cavina e Pierpaolo Ghisetti depositari del sapere tecnico fotografico alemanno e non solo e che mi hanno offerto la loro preziosissima consulenza.
Nital e Manfrotto a prescindere
Tutti quelli tra di voi che mi supportano e sopportano….