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CANON DIAL 35: 72 scatti in 40 secondi, PARTE PRIMA

La Canon Dial 35 è stata prodotta dal 1963 al 1971, in due differenti versioni. E’ una compatta half frame, in grado quindi di scattare 72 fotogrammi su un negativo da 36 pose/135.

Dotata di un design talmente particolare e avvenieristico da farla sembrare una piccola cinepresa, è una compatta a priorità di tempi, nata per un pubblico nient’affatto smaliziato, ma con un progetto e una qualità finale che mi hanno lasciato a bocca aperta.

In questa prima parte vi introdurrò alle caratteristiche tecniche.

Nella seconda parte troverete la prova sul campo e i risultati

Buona lettura .e buona visione

 

Gerardo Bonomo

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Che cos’è il formato half frame

Il formato half frame utilizza la tradizionale pellicola 135 mm ma anziché realizzare fotogrammi in formato 24x36mm realizza fotogrammi in formato 24x18mm. In questo modo da un normale rullo da 36 pose si ottengono 72 scatti; certamente, da un negativo 24x18mm è difiicile stampare un formato 30×40 cm, ma la fotocamera era stata concepita per snapshot e foto di famiglia, e in ogni caso, da esperienza personale, usando una buona pellicola, si arrivava tranquillamente a stampare in formato 20x30cm.

Il formato half frame è nato innanzitutto per esigenze economiche, ovvero per permettere alle persone di ottenere il doppio delle immagini da un rullino da 36 pose.

Contemporaneamente, il vero business della fotografia ” per tutti” nel 900 era da parte delle aziende, di far sì che le persone richiedessero il maggior numero di stampe possibili.

Un altro motivo era dato dal fatto che moltissime persone – ancora oggi.. – non sanno caricare il rullino nella fotocamera, nè scaricarlo. Prima di un evento o di una vacanza si recavano quindi nel negozio di fotografia a farsi caricare la fotocamera: se gli scatti erano 36 la persona sarebbe tornata chiedendo 36 stampe, se gli scatti erano 72…

 

 

Mom Kodak

Nel 1963 Kodak lancia un nuovo formato di pellicola, il 126 ( i numeri, come sempre, non hanno NULLA a che vedere con i formati effettivi, nè espressi in centimetri né in pollici. In realtà Kodak riprende il nome, anzi il numero di un rollfilm, il 126, prodotta dal 1906 al 1949 ). Quello che importa comunicare, nel 1963, è l’accezione 26, ovvero che questa nuova pellicola è in grado di garantire 26 scatti in formato 28cx28mm, spesso stampati rifilati in formato 26,5×26,5mm. In molti casi la stampa viene restituita su un cartoncino 10×15 dal quale è possibile, grazie a una fustellatura, staccare due piccole copie della stessa immagine da regalare, o da tenere nel portafoglio.

Il successo è stratosferico: Il formato 126 ancora oggi, se vogliamo escludere il rullino Advanced Photo System, rimane la pellicola più facile da caricare nella storia della fotografia, e non ha neppure bisogno di essere riavvolta.

 

 

Fall Safe  ( a prova d’errore )

Non posso non ricordare quando, a 8 o 9 anni, per la Cresima, il mio padrino mi regalò una Kodak Instamatic. Il mi “viaggio” cominciò quel giorno, e non posso non ricordare che riuscii a inserire la pellicola nella fotocamera senza neppure leggere le istruzioni. La foto della bimba che inserisce cilindri e stelline nel modo corretto nel microrompicapo per infanti qui illustrato è alla base della filosofia della Kodak Instamatic: impossibile caricare la pellicola in modo sbagliato, impossibile non agganciarla correttamente, impossibile bruciare gli scatti già realizzati, ma anche quelli ancora da realizzare se inavvertitamente si apriva la fotocamera con il rullo esposto a metà, geniale l’idea della stampa con le due stampine fustellate insieme, da donare o altro perchè il gioco, nel 99% dei casi, finiva con la prima stampa: la busta con i negativi era già introvabile a un mese dallo sviluppo. Forse Kodak avrebbe dovuto dare la possibilità alle persone di lasciare i negativi in custodia presso il fotografo di fiducia per successiva stampe – come già si faceva comunque con le fototessere scattate su negativo bianco e nero – , ma forse la perfezione non è di questo mondo….

 

 

In principio era – sempre – Leica

Leica ha inventato prima il formato 24x36mm e successivamente, nel 1950, il formato 24x16mm

La Leica 72 venne prodotta dal 1950 al 1963 ma in soli 200 esemplari: Leica non credeva a un successo commerciale e la produzione si limitò quindi a pochi pezzi destinati a usi industriali e scientifici.

 

In realtà al principio ci fu Zeiss

Prima del Secondo conflitto mondiale Zeiss presentò la Tenax, formato 24x24mm, non un vero half frame ma quasi,a motivo di ottenere una leva di carica a corsa più breve per riarmare più velocemente la fotocamera e ottenere delle “sequenze” di scatto molto più ravvicinate tra loro per poter immortalare azioni in rapida evoluzione.

 

Velocità

L’immagine è chiara, grazie alla Tenax è possibile cogliere tutta la sequenza del lancio del giavellotto.

Una storia ENORMEMENTE più approfondita su questa fotocamera è stata redatta da Pierpaolo Ghisetti. Ecco il LINK

 

Leica MD Post

Un’altra fotocamera particolare di Leica, la MD Post, prodotta anche in formato 24x27mm con contatore portato a 60 fotogrammi, era in dotazione alle Poste Tedesche: i postini, nel consegnare la posta, fotografavano anche il contatore della corrente. la macchina non solo aveva la focale fissa, ma anche la distanza di fuoco era fissa, era priva di mirino, e veniva usata con un’apposita forcella che la distanziava correttamente dal contatore per permettere una riproduzione perfetta del contatore. Questi “blocchi” possono da un lato essere intesi come delle facilitazioni per permettere a chiunque, anche digiuno di fotografia di utilizzarla, ma a me piace pensare che, ammesso che la fotocamera facesse parte della dotazione dei postini, in questo modo non potesse essere utilizzata fuori dal lavoro, per esempio per scattare qualche foto di famiglia.

Alcune MD Post sono state vendute per le Poste di un Paese sudafricano negli anni 90. Ed è risaputo che ancora oggi la maggior parte degli autovelox tedeschi registrano la targhe dei “velocisti” su pellicola.

Insomma, in questo millennio digitale, se carta canta, anche la pellicola continua a cantare quando si vuole ottenere una prova che non sia impugnabile dal “imputato” perchè in odor di postproduzione.

C’è da meditare….

Di nuovo, è inutile scrivere altro e di più, quando la spiegazione più chiara e completa è nuovamente di Pierpaolo Ghisetti. Ecco il LINK

 

 

Anche Nikon ci mette del suo nel mondo del half frame

La Nikon S3M S72 è la più rara e la più preziosa tra tutte le fotocamere Nikon 35mm.
Sviluppata sulla base della S3, è una mezzo formato 18X24mm, con contafotogrammi per 72 pose. Nel mirino sono presenti le delimitazioni per le focali 35mm, 50mm e 105mm con compensazione della parallasse. E’ prevista la possibilità di montare mirini esterni accessori.
La maggior parte delle S3M ha lasciato gli stabilimenti Nikon insieme al relativo motore S72. Ne sono state costruite soltanto 195, in maggior parte con finiture nere. Numeri di serie da 6600001 a 6600225.

Qui le motivazioni cominciano ad essere economiche, ovvero, risparmiare pellicola da un lato. dall’altro, ne sono convinto, visto che la stragrande maggioranza delle persone si faceva caricare il rullo dal negoziante, e scaricarlo, in questo modo l’autonomia di scatto – e il numero di stampe da restituire al cliente, raddoppiavano.

 

 

 

Yashica Rapida, o Rapide

La Yashica Rapide (venduta anche come “Rapid”) è una fotocamera half frame da 35 mm orientata verticalmente introdotta da Yashica nel 1961. Il lancio della Rapide dallo stile insolito ha completato l’ingresso di Yashica in tutti i segmenti del mercato delle fotocamere consumer di quell’epoca, ad eccezione delle reflex di medio formato.

Come tutte le fotocamere, il punto focale della Rapide è il suo obiettivo: uno Yashinon 28mm f / 2.8 in questo caso. La messa a fuoco viene regolata ruotando l’anello che circonda direttamente l’elemento anteriore con scale di distanza in piedi alle nove e metri alle tre. L’apertura viene selezionata ruotando l’anello nero alla base dell’anello di messa a fuoco allineando l’apertura desiderata con la freccia verde alle 5:30. La stessa freccia verde viene utilizzata per indicare la velocità dell’otturatore (1-1 / 500 secondi e Bulb) che può essere regolata utilizzando i due montanti metallici rettangolari (situati in corrispondenza delle ore nove e tre nelle foto sopra) per ruotare l’anello d’argento con scritto “COPAL-SV”  Dispone di un autoscatto alle 3:30 e un selettore della modalità di sincronizzazione alle ore 11 che può essere ruotato su “X” quando un’unità flash esterna è collegata alla presa di sincronizzazione situata appena fuori dal barilotto dell’obiettivo in 2: 00 posizione.

Con il suo design verticale, le dimensioni del Rapide sono paragonabili a quelle di una radio a transistor tascabile tipica dell’epoca. Un sensore del misuratore di luce al selenio si trovano sulla piastra superiore appena sopra il mirino e una finestra di lettura del misuratore di luce (dalla parte anteriore) che funge anche da selettore della velocità della pellicola (visibile dal retro). Sul lato destro della fotocamera dell’utente ci sono un contatore di fotogrammi, un pulsante di scatto con presa filettata per lo sgancio del cavo e un cinturino in pelle che, quando viene tirato verso il basso, solleva l’otturatore. Sul lato opposto della fotocamera c’è un pulsante di rilascio del riavvolgimento della pellicola, attacco per treppiede, una manopola di riavvolgimento della pellicola e una piccola linguetta metallica che rilascia lo sportello della pellicola.

 

 

 

Olympus PEN, la regina delle half frame

La Olympus PEN nasce come un vero sistema ad ottiche intercambiabili, una reale alternativa al sistema 24x36mm, motivata dalla compattezza da un lato e indubbiamente, visto il periodo di progettazione, dal risparmio sulla pellicola

La prima Olympus Pen, 1959
La serie Pen è una famiglia di fotocamere a mezzo fotogramma realizzate da Olympus dal 1959 all’inizio degli anni ’80. A parte la serie Pen F di reflex a mezzo fotogramma, sono fotocamere con mirino a obiettivo fisso.

Il nome è rimasto anche nella produzione digitale: Nel 2009, Olympus ha introdotto la PEN E-P1una fotocamera digitale con sistema Micro Quattro Terzi che l’azienda pubblicizza come la fotocamera con penna di nuova generazione. Tutte le serie di fotocamere digitali Olympus PEN hanno la stabilizzazione dell’immagine con spostamento del sensore incorporata e (ad eccezione della E-P1) possono utilizzare il mirino elettronico opzionale che deve essere inserito nella sua slitta.

La PEN originale è stata introdotta nel 1959. È stata progettata da Yoshihisa Maitani ed è stata la prima fotocamera a mezzo fotogramma prodotta in Giappone. Era una delle fotocamere più piccole a utilizzare pellicole da 35 mm in 135 cassette normali. Si pensava che fosse portatile come una penna; quindi il nome [citazione necessaria]. L’idea era di essere molto copiata da altri produttori giapponesi.

Yoshihisa Maitani (8 gennaio 1933-30 luglio 2009) è stato un progettista di fotocamere per Olympus Corporation.

Maitani è entrato a far parte di Olympus nel 1956  e ha lavorato per loro per 40 anni. È stato coinvolto nella progettazione di molte delle fotocamere più famose dell’azienda, tra cui la Pen e le fotocamere Half Frame Pen F, il sistema OM, la XA e successivamente la Stylus.

È seguita una serie di derivati, alcuni più facili da usare con l’introduzione dell’automazione dell’esposizione, ad es. la penna EE; altri con un obiettivo con apertura più ampia e un misuratore manuale, come la Pen D.

Nel 1966 l’arrivo della Rollei 35, una fotocamera quasi altrettanto compatta ma che realizza normali esposizioni 24 × 36, annuncia l’inizio della fine del concetto di mezzo fotogramma. Tuttavia, Olympus continuò a produrre i modelli più semplici della famiglia Pen almeno fino al 1983.

Nelle descrizioni seguenti, le lunghezze focali indicate non danno lo stesso angolo di campo delle fotocamere full frame: 30 mm sulla penna equivalgono all’incirca a 45 mm su full frame e 28 mm a 40 mm.

Penna e penna S
La penna originale è una fotocamera a mezzo fotogramma molto compatta, con solo un mirino, nessun misuratore e impostazioni completamente manuali. Ha un obiettivo Zuiko da 28 mm f / 3.5. Le sue impostazioni dell’otturatore sono 25, 50, 100, 200, B; la sua gamma di apertura da 3,5 a 22. La parte posteriore è completamente rimossa per il carico e lo scarico del film.

La Pen S è quasi la stessa fotocamera, con le seguenti impostazioni dell’otturatore: 8, 15, 30, 60, 125, 250, B. Esisteva in due versioni, con un obiettivo 30 mm f / 2.8 o un obiettivo 28 mm f / 3.5.

Serie D.

Penna D3
La Pen D era un modello più costoso, lanciato nel 1962. Ha un obiettivo da 32 mm f / 1.9, un otturatore che va a 1/500 e un misuratore di selenio disaccoppiato.

La Pen D2, lanciata nel 1964, è lo stesso modello con esposimetro CdS disaccoppiato che sostituisce quello al selenio.

La Pen D3, lanciata nel 1965, è la stessa con un obiettivo da 32 mm f / 1.7.

Serie EE
La Pen EE fu introdotta nel 1961 ed era il modello amatoriale, con esposizione completamente automatica e messa a fuoco fissa. È una vera fotocamera punta e scatta e ha un obiettivo da 28 mm f / 3.5. La famiglia Pen EE è facilmente riconoscibile dalla finestra del misuratore di selenio intorno all’obiettivo.

EE.S
La Pen EE.S, lanciata nel 1962, è lo stesso modello con un 30mm f / 2.8 e una ghiera di messa a fuoco, resa necessaria dall’apertura più ampia.

Nel 1966 le due fotocamere furono leggermente modificate e divennero Pen EE (EL) e Pen EE.S (EL) con una modifica della bobina di riavvolgimento per facilitare il caricamento della pellicola. EL sta per Easy Loading. Puoi riconoscerli solo da una piccola etichetta contrassegnata con EL attaccata sulla parte anteriore, oppure puoi aprirli e guardare la bobina di riavvolgimento.

La Pen EE.2, prodotta dal 1968 al 1977, è quasi la stessa della Pen EE con l’aggiunta di una slitta a contatto caldo.

 

 

Olympus PEN, compattezza innanzitutto

La Olympus PEN nasce come un vero sistema ad ottiche intercambiabili, una reale alternativa al sistema 24x36mm, motivata dalla compattezza da un lato e indubbiamente, visto il periodo di progettazione, dal risparmio sulla pellicola, anche se, a mio parere, sollevo dei dubbi sul risparmio pellicola, visto il costo del prodotto, ma soprattutto del fatto che, per le ottiche intercambiabili e il probabile corredo, il pubblico a cui era dedicata non aveva certo il problema di raddoppiare il numero di scatti per economia da un lato, nè di non essere in grado di caricare e scaricare la pellicola, sempre in autonomia.

La forza era nella compattezza, che Maitami distilla poi anche nel sistema OM. E non è un caso che nel giugno del 2003 Olympus annuncia, come prima fotocamera digitale a E-1, dotata di un sensore micro quattro terzi, che farà storcere la bocca per anni agli appassionati. Olympus non solo continuerà a presentare digitali micro quattro terzi, ma verrà poi affiancata anche da Panasonic, nella scelta del formato del sensore. Olympus è stata anche la prima azienda ad adottare il sistema mirrorless

Per chiudere, è da rimarcare anche il fatto che negli anni 80, quando Canon, Nikon, Pentax e gli altri attori di quel mercato facevano a gara sulle reflex dotate di autofocus sempre più sofisticati, Olympus esce di scena, presentando una bridge camera, autofocus, e continua su quella strada, affiancando anche dei veri r propri miracoli di idea e di ingegno, come l’Uovo Robot prima, la Mju in seconda battuta, compatte ultrasottili sempre armate con ottiche di qualità straordinaria. Venne prodotta in oltre 20 milioni di esemplari nei primi dieci anni!!!!

 

 

 

Ma torniamo alla Canon Dial 35

Mi è arrivata tra le mani quasi per sbaglio, e non era funzionante, ovvero, il motore era bloccato. Ma mi colpì solo, per l’estetica inusuale da un lato e per quella possibilità di di funzionamento con carica ad orologeria. Compatta, messa a fuoco, pur a stima regolabile, diaframma regolabile – vi spiegherò come, tempi regolabili, anche se la posa B è negata.

 

I filtri!!!!

La Canon Dial veniva venduta con una cinghia ad armapolso e una custodia in pelle semiflloscia con una zip che ormai credo nessun astuccio originale abbia funzionante. Ma senza un tappo di protezione e un difficilissimo attacco filettato per filtri diametro 48mm. ma non è stato difficile trovare un anello di raccordo diametro 52mm e poter usare tutti i miei filtri Nikon e inserire anche in tappo di protezione. Il primo test è stato realizzato con la nuovissima pellicola Rollei Paul & Rehinold (Rollei Paul & Rehinold scheda prodotto ), che può essere esposta alla sua sensibilità nominale di 640 ISO o a 320 o a 1600 ISO. Vi confesso, lo scoprirete nella seconda parte, che non si è rivelata un’accoppiata vincente. La Paul & Rehinold è una pellicola con una grana molto schietta ed evidente che nel mezzo formato mortifica i dettagli; ho usato anche una Rollei Retro 400S, ( Rollei_retro_400S scheda prodotto ) pellicola ben più definita, e non è detto che prima di chiudere la prova sul campo non utilizzi anche una sublime Rollei RPX 25, ( rollei-rpx-25 scheda prodotto ) che con le sue 280 linee/mm non dovrebbe diventare il collo di bottiglia del sistema.

 

Il sistema esposimetrico

La Canon Dial 35 permette di impostare accoppiate di sensibilità prossime tra loro da 8 fino a 400 ISO, il modello 2 dispone anche della sensibilità a 1000 ISO. Il funzionamento, che è poi quello che dà il nome alla macchina è basato su un rotore con fori di diametri sempre più chiusi che vengono interposti tra la cellula al CDS e la realtà così da poter far passare più o meno luce. Potrebbe anche darsi che già il primo modello avesse una sorta di predisposizione ai 1000 ISO perché dalle immagini si nota che i fori sono otto e non sette.

Per la gioia di molti e il rammarico di molti l’esposimetri funziona a batteria, un tempo al mercurio da 1,3V adesso con le batterie alcaline da 1,5v a cui va aggiunto un riduttore di voltaggio. I tempi sono regolabili manualmente e l’otturatore è a funzionamento meccanico, mentre i diaframmi, ahimè sono regolati elettricamente. A batteria scarica si può agire sui tempi ma il diaframma rimane irreversibilmente aperto a f/2.8

L’obiettivo è un 5 elementi in tre gruppi, focale 28mm, con diaframma a 5 lamelle STONDATE !!!!. Questo significa che a qualsiasi diaframma il foro del diaframma è sempre perfettamente circolare, per restituire un eccellente fuori fuoco da un lato, una miglior nitidezza dall’altro. Se inoltre pensiamo che la macchina non ha il box specchio e quindi la progettazione dell’obiettivo ne è molto avvantaggiata, la qualità degli scatti, come vedremo nella seconda parte, è quasi sbalorditiva.

 

Aggirare il sistema esposimetrico

Ci sono due modi per aggirare il sistema esposimetrico: il primo è quello di agire sul selettore degli ISO, manovra piuttosto faticosa perchè il selettore ruota, a fatica, agendo col polpastrello su una ghiera dentata – e quasi affilata – in plexiglass che circonda l’obiettivo; il secondo sistema è quello di estrarre il selettore del flash utile per gli accoppiamenti con i flash a bulbo, ruotando il selettore è possibile impostare un diaframma manuale, e forzare così la fotocamera, anche non in presenza di un flash collegato, a impostare il diaframma voluto, di nuovo, anche questo sistema funziona unicamente a batteria carica.

Inutile dire che se il sole colpisce direttamente ll dial l’immagine risulterà immancabilmente sottoesposta, per ovviare basta che il sole non illlumini il dial, ci si può fra scudo con l’ombra di un albero, di un cappello, o usando un paraluce collassabile che abbia il diametro di una focale 50mm pieno formato.

Bell & Howell – Canon  1-0

E’ indubbio, che il modello rimarchiato Bell & Howell ha una custodia decisamente più pratica e resistente agli urti; certo, non starà comoda in tasca come quella semifloscia della Canon Dial marcata Canon, ma è decisamente più sicura. Per il resto il modello marcato Bell & Howell è identico in tutto e per tutto alla Canon Dial 35 2.

L’avranno fatta per distinguere i due prodotti, o perchè Bell & Howell usava questo tipo di custodie per le sue cineprese? ma perchè Canon non ha fatto usa la custodia progettata da Bell & Howell. Misteri….

I tempi di scatto

Basarsi su tempi impostabili manualmente ma limitati a 1/250, 1/125, 1/60 e 1/30 e davvero poca cosa, come e soprattutto la mancanza della posa B. Ma bisogna pensare al pubblico a cui era rivolta questa fotocamera: digiuno da posa B e certamente non da treppiedi su cui poter lavorare con tempi più lunghi di 1/30 di secondo – anche se sotto il motore, celato dalla cinghia ad armapolso, è presente l’attacco filettato per il treppiedi. negli anni 60, per un pubblico allargato, luce scarsa significava fotografare in casa, e si ovviava – ma si ovvia tuttora, con l’uso del flash. Se non altro i tempi sono meccanici e non asserviti dalla batteria e dall’impianto elettronico della fotocamera

 

La messa a fuoco a stima e l’iperfocale

La Canon Dial 35 dispone di messa a fuoco a stima con distanze selezionabili da 0,80 cm fino all’inifinito; poichè era concepita per un pubblico non di apppasionati, nel mirino sono visibili tre ideogrammi, volto, figura intera e inifinito, che aiutano a focheggiare non stimando la distanza ma la grandezza dei soggetti. In questo modo si lavora anche in iperfocale; io di norma lavoro a f/8 stimando la distanza fino a 1,5m, al scendere della quale ho sempre con me un piccolo metro a nastro per le focheggiature precise fino a 0,80 cm.

L’anima della Canon Dial: il motore

Il design della Canon Dial è dato anche dall’insolito motore impugnatura esterna, al punto che la macchina, rimarchiata Bell & Hawell, venne venduta anche da questa azienda, specializzata in cinepresa, per allargare al massimo il mercato, Qui vendiamo anche la custodia originale della Bell migliore di quella di Canon.

Il motore si arma ruotandola manualmente, al suo interno contiene una molla ad orologeria che una volta completamente carica consente la bellezza di 20 scatti in sequenza senza non solo dover riarmare la mcchina ad ogni scatto ma dando appunto un’autonomia di scatto notevole; non è possibile lo scatto continuo, ad ogni scatto bisogna premere il pulsante di scatto, ma ad essere veloci si arriva a scattare 20 immagini n soli 10 secondi, per l’epoca un record non indifferente. Quando la molla si scarica basta ruotare la ghiera del motore per ricaricarla; quando la pellicola è arrivata a 72 fotogrammi la fotocamera cessa di scattare e, dopo aver riarmato il motore, e premendo il pulsante di rewind, la pellicola rientra nel rullino, di norma occorrono tre cariche complete del motore per far rientrare tutta la pellicola nel rullino.

 

 

Il motore: problemi e manutenzione

Quella innocente vite contrassegnata dalla freccia rossa nasconde al di sotto una seconda vite. In realtà non sono viti, ma grani. Una volta svitato il prima si svita il secondo, sottostante, come da esploso qui raffigurato tratto dal libretto di manutenzione.

Permette di staccare il motore dal corpo macchina e provvedere da un lato alla lubrificazione del motore, dall’altro all’ingrassaggio del complesso sistema di ingranaggi che trasforma la rotazione oraria del motore in energia che andrà a trascinare la pellicola e a riarmare l’otturatore.

L’operazione di smontaggio è relativamente semplice, i grani NON devono andare perduti perchè sono difficilmente reperibili sul mercato.

Più complessa la fase di rimontaggio del motore perchè è necessario allineare il foro filettato presente sulla flangia del motore con il doppio foro filettato presentente sulla fotocamera all’interno del quale “calare” il primo  e poi il secondo grano per bloccare il motore in posizione.

Non è una manovra semplice, se pensate di non esserne all’altezza lasciate che se ne occupi un laboratorio specializzato

 

 

 

Il motore: pulizia e ingrassaggio

Se avete perizia e avuto il coraggio di smontarlo, utilizzando della benzina avio rimuovete il grasso indurito nei decenni: il motore va lubrificato con lo Svitol, gli ingranaggi all’interno della fotocamera con del grasso al litio: NON usate lo Svitol perchè potrebbe spandersi all’interno della fotocamera in ogni dove. Nel 99% sei casi quando la macchina non carica la causa risiede proprio nel grasso indurito.

Qi di seguito trovate il link a due eroici personaggi che hanno smontato, pulito, ingrassato e rimontato il motore:

 

E per non farvi mancare nulla ecco il manuale di riparazione ufficiale della Canon Dial 35: sono 113 iridescenti pagine, sembra impossibile che dietro una fotocamera in realtà compatta e per tutti si celi una tecnologia così complessa:  cliccate canon_dial_35

 

 

 

La batteria

La Canon Dial 35 montava una batteria al mercurio da 1,3 V. Queste batterie non sono più in produzione, bisogna quindi ricorrere alle batterie bottone odierne, alcaline o al litio da 1,5V a cui va applicato un riduttore di voltaggio che al contempo fa in modo che i due poli possano toccarsi ( le batterie al mercurio erano più lunghe ). problema risolvibile acquistando l’apposito riduttore disponibile sul mercato.

 

 

 

Il mirino

La Canon Dial 35, abbiamo detto ha un mirino galileiano ma piuttosto ricco di informazioni:

  1. lancetta di riferimento della distanza di messa a fuoco impostata; 2,3,4, : ideogrammi di riferimento della messa a fuoco in iperfocale, infinito, gruppi di persone, ritratto; 5: indice di sottoesposizione: la lancetta dei diaframmi va fuori scala; 6: scala dei diaframmi impostati dalla fotocamera o impostati dall’utente in modalità flash; 7: indice di sovraesposizione; 8: riferimenti della parallasse per la messa a fuoco a distanza ravvicinata.

 

 

 

Il caricamento e lo scaricamento della pellicola

Il caricamento della pellicola è davvero molto semplice ma, soprattutto, a prova d’errore.

Dopo aver inserito il rocchetto a sinistra si fa scorrere la coda della pellicola fino a infilarla in una delle fessure presenti a destra sul rochetto di avvvolgimento che può essere ruotato a piacere usando la rotazione del motore; una volta che la pellicola è agganciata – e la Canon Dial ha solo un ingranaggio dentato anzichè due come nelle altre fotocamere, è sufficiente chiudere il dorso e ruotare la ghiera del motore finchè automaticamente il contafotogrammi si arresterà sul n. 1.

E’ interessante notare due cose: se nella fotocamera non è presente la pellicola, il motore non scatta, se la pellicola è agganciata male e il motore non riece a portarla sul fotogramma 1, di nuovo l’otturatore non scatta. E’ una sicura d’errore ECCELLENTE che tutte le fotocamere a pellicola dovrebbero avere perchè purtroppo, ancora oggi, mi capita di vedere persone alle prime armi che credono di aver agganciato correttamente la pellicola, mentre invece la coda si è sganciata e se se accorgeranno, su un tradizionale fotocamera da 36 pose, quando arriveranno al 40esimo fotogramma,e  si renderanno conto che hanno scattato 36 e più foto “imprssionando ” il pressapellicole…..

Ogni 20 scatti il motore andrà riarmato. Quando la pellicola è completamente esposta di nuovo l’otturatore non scatterà più, un altra ottima sicura d’errore. Caricando nuovamente il motore e premendo il pulsante di Rewind, la pellicola verrò riavvolta nel rocchetto originale. Di norma, per riavvolgere 72 fotogrammi occorrono almeno tre ricariche complete del motore.

La Canon Dial 35 nel cinema, of course…

Il prigioniero è una serie televisiva britannica del 1967 di genere fantascientifico (più precisamente fantapolitico), interpretata da Patrick McGoohan, nella parte di Number Six, creata dallo stesso McGoohan e George Markstein. McGoohan inoltre ha scritto e diretto parecchi episodi, spesso sotto uno pseudonimo. La Canon Dial 35 è la fotocamera di Number Six nell’episodio 7 della prima stagione

 

 

 

La pubblicità rimane l’anima del commercio

Qui alcune delle pubblicità dell’epoca. Si noti il fatto che a impugnare la fotocamera è sempre una donna. A parte il periodo storico, questo claim non intendeva certo sminuire le donne, ma chiariva il fatto che si trattava di una fotocamera per persone inesperte – anche se una donna di norma non si preoccupa granché della tecnica ma fa spesso foto fantastiche – che desideravano fotografare senza preoccuparsi troppo di una tecnologia troppo arzigogolata che fa invece gola agli uomini ( tutt’ora… )

 

 

 

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Conclusioni. 

Guardando due dei vari esplosi del manuale ufficiale di riparazioni sembra quasi incredibile il lavoro di progettazione e assemblaggio che ha portato a una fotocamera nata per un grande pubblico, non certo di appassionati.

la canon Dial 35 è stato il mio primo contatto con il mondo del half frame e ne sono rimasto entusiasiasta

Nella prossima puntata la prova sul campo con diverse immagini scattate su differenti pellicole e in differenti condizioni d’uso

Gerardo Bonomo

 

( un particolare ringraziamento a Massimiliano Milazzo, Max per gli amici, titolare del punto vendita di Torino REFLEX TOP LINEA che mi ha permesso di utilizzare la Canon Dial 35 della sua collezione privata

 

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