REALIZZARE RITRATTI SU PELLICOLA PIANA
Sono incappato in una pellicola piana, stesa dalla Agfa Gevaert in Belgio, una pellicola non ancora in commercio, di cui l’unica cosa nota era la sensibilità, 400 ISO, ma poteva essere una pellicola pancromatica, iperpancromatica o addirittura infrarosso.
L’ho testata realizzando un paio di ritratti. Le sorprese sono state molte.
Ecco i risultati
Buona lettura.
Gerardo Bonomo
I miei video e i miei articoli sono accessibile a tutti e gratuitamente.
Se volete fare una donazione utilizzando PayPal, il mio indirizzo è gerardobonomo@gmail.com . Specificate DONAZIONE e il vostro indirizzo mail per permettermi di ringraziarvi.
( vi ricordo i miei corsi sulla fotografia bianco e nero, dalla ripresa alla stampa, sia one to one che via Skype. Contattatemi: gerardobonomo@gmail.com, Cell.: 3356619215 )
FATIF, una storia tutta milanese
Nei fiabeschi anni dei banchi ottici professionali a primeggiare erano blasonati marchi stranieri, dalla svizzera Sinar, alla tedesca Linhof, apparecchi dai costi proibitivi per la maggior parte dei fotografia professionisti.
Fatif nasce a Milano, in Corso di Porta Romana al 121, a pochi passi dall’omonima Porta.
Io nel 1949 forse non ero ancora nato e comunque anche negli anni 70 non era certo un addetto ai lavori nel mondo dei banchi ottici.
Preferisco così lasciare qui la parola, sulla storia di Fatif, a Michele Vacchiano, che sul sito Nadir pubblicò anni fa un testo eccellente.
Eccolo:
I cultori del banco ottico che frequentano Internet conoscono soprattutto le grandi marche straniere: Arca Swiss, Cambo, Linhof e Sinar per restare in Europa; Horseman e Toyo dal Giappone.
Ma esisteva una ditta italiana (milanese, per la precisione) che produce da decenni apparecchi a banco ottico robusti e versatili, tali da reggere tranquillamente il confronto con le marche e i modelli più blasonati e celebrati.
Eppure il nome Fatif non sembra essere conosciuto da tutti, specialmente all’estero.
Fin dalla sua nascita nell’ormai lontano 1944 (sessant’anni splendidamente portati!) la milanese Fatif si è imposta sul mercato come unica azienda italiana produttrice di apparecchiature fotografiche professionali, espressamente progettate per il lavoro in studio.
La serie DS
Il 1969 vede la nascita di un apparecchio a banco ottico decisamente diverso dal solito, progettato in collaborazione con il designer Joe Colombo e con l’ingegner Quintino Piana: la Fatif DS1. Una segnalazione al Premio “Compasso d’oro” e l’esposizione al Museum of Modern Art di New York premiano non solo la linea ma anche l’efficienza e la versatilità di questa originale creazione.
Nel 1986 Fatif raddoppia presentando sul mercato la DS2, ulteriormente migliorata e dotata di un più efficiente sistema di regolazione dei movimenti. Oggi la DS2 è l’unico modello in produzione.
Ma che cos’hanno le Fatif per destare tanta ammirazione?
Osserviamole da vicino. Salta subito agli occhi la linea originale: la tradizionale sezione quadrata viene abbandonata in favore di un profilo più smussato e gradevole. La struttura solida e la semplicità costruttiva colpiscono piacevolmente. Guide generose e manopole ben dimensionate infondono un’immediata sensazione di robustezza. Tutto si impugna bene, i movimenti sono intuitivi, i blocchi saldi e sicuri.
Due semplici tubolari a U (uno anteriore e uno posteriore) costituiscono la struttura portante dei corpi e consentono tutti i movimenti: una semplicità e un’essenzialità quasi esoteriche, a cui corrisponde una versatilità di alto livello. I movimenti di basculaggio sono limitati solo dal soffietto. Su entrambe le standarte è presente il doppio basculaggio: sia alla base che sull’asse. Questo consente non soltanto di scegliere il sistema più comodo per limitare al minimo gli interventi di rifocheggiatura, ma anche di superare i limiti fisici e costruttivi dell’apparecchio: ad esempio è possibile – come dichiara la Casa costruttrice – “sfruttare l’allungamento del soffietto oltre il limite del banco ottico, oppure avvicinare i corpi anteriore e posteriore fino al contatto, senza spostare il morsetto centrale di fissaggio”.
Il decentramento laterale raggiunge i 30 mm sulla singola standarta, il che significa che decentrando un corpo a destra e l’altro a sinistra si ottiene una traslazione reciproca di 60 mm. Il decentramento verticale di ogni singolo corpo è di 105 mm. Questi valori, già notevoli, possono essere ulteriormente incrementati dalle illimitate possibilità di basculaggio (360° sia in verticale che in orizzontale, tanto alla base quanto sull’asse) che rendono agevole e intuitivo il ricorso al decentramento indiretto. Inoltre è possibile prolungare i due bracci della U per incrementare le possibilità di decentramento diretto. Sembra che i progettisti abbiano pensato alle esigenze – spesso “estreme” – del fotografo creativo più che non a quelle – tutto sommato costanti e in certa misura prevedibili – del fotografo di architettura o di still-life.
Il soffietto standard è spesso e robusto. Quello della DS1 è realizzato in pelle nera non lisciata né foderata internamente, tanto che sembra di toccare un bell’oggetto in cuoio di quelli che si facevano una volta, con l’interno grezzo e “peloso”. Vedendolo (e toccandolo) mio figlio Giorgio ha detto: “Qui hanno preso una mucca, l’hanno svuotata ed ecco il soffietto”. Il soffietto della DS2 è sempre in pelle, ma più sottile e raffinata: un oggetto senza dubbio più “moderno” ma meno suggestivo e – ahimè – anche meno morbido. Quando è molto accorciato (ad esempio per l’uso con le ottiche grandangolari) il soffietto standard risulta alquanto rigido e poco mobile, rendendo indispensabile la sua sostituzione con un soffietto grandangolare. Il banco standard è lungo 450 mm. Ovviamente il sistema è modulare e consente ulteriori prolunghe, utili specialmente quando al dorso 4×5″ si sostituiscano dorsi di formato maggiore (5×7″ e 8×10″), utilizzando di conseguenza focali più elevate.
Nella DS1 il decentramento verticale si effettua agendo su levette a molla che consentono di sbloccare il corpo facendolo scorrere a mano libera lungo le guide tubolari. Nella DS2 il movimento è a cremagliera.
Negli anni Sessanta le manopole venivano realizzate in bakelite o in materiali similari: un tipo di plastica che con l’andare del tempo si deteriora perdendo elasticità. E’ probabile che – a seguito di un leggero urto o anche con un uso intenso – una manopolina si spezzi, come è accaduto a chi scrive. Occorrerà quindi rivolgersi alla Casa costruttrice per la sostituzione. Il problema riguarda la DS1. Nella DS2 mi sembra siano stati utilizzati materiali più moderni.
Il vetro smerigliato è generoso: un vero 10×12 centimetri (quello della Sinar è in realtà un 9×12). In uno dei modelli in mio possesso (la DS1) esiste una lente di Fresnel che tuttavia in prova ho rimosso per verificare l’effettiva luminosità del vetro.
Nella DS1 le due standarte sono equipaggiate ciascuna con una slitta portaccessori. Tra gli accessori utilizzabili c’è un bel paraluce a compendium che scorre lungo un’astina a T la quale, a sua volta, si infila nella slitta. In questo modo il compendium può essere usato tanto come paraluce per l’obiettivo quanto (se montato sul corpo posteriore) come paraluce per il vetro smerigliato, evitando (o per lo meno limitando) l’uso del panno nero. Poiché l’astina è rigida, il paraluce non può essere decentrato o basculato per seguire i movimenti dei corpi (come invece avviene nel sistema Sinar, grazie all’adozione dell’astina snodabile). Questo impone di controllare attentamente l’eventuale presenza di vignettature in caso di forti decentramenti o basculaggi. Nella DS 2 (che adotta un differente sistema di blocco delle piastre) la slitta portaccessori manca e il paraluce a compendium è basculabile e decentrabile per assecondare i movimenti dei corpi.
L’obiettivo: Schneider Kreuznach Symmar S 210mm f/5,6
E’ stata utilizzata un’ottica di qualità eccellente, pur datata. Un 210mm sul formato 10x12cm ha un effetto, più chiuso, leggermente più tele rispetto all’ottica standard, il 150mm, il 210 mm corrisponde all’incirca a un 60mm sul formato 24x36mm. Tutti gli scatti sono stati naturalmente realizzati su treppiedi, naturalmente Manfrotto, e utilizzando naturalmente lo scatto a filo. Fabio Calloni, nonostante la ridotta distanza di fuoco e il diaframma chiuso di appena 2 stop è riuscito a realizzare una focheggiatura a dir poco ammirevole sul mio occhio. Con un trucco, che svelerò alla fine.
La pellicola misteriosa
Mi è stata fornita dalla Punto Foto Group di Milano, distributore per l’Italia delle pellicole Rollei e non solo, una certa quantità di questa pellicola misteriosa, prodotta dalla Agfa Gevaert di cui si sapeva solo che era stesa su triacetato ma nessuna informazione sul fatto che fosse pancromatica, iperpancromatica o infrarossa. Utilizzando il filtro IR R72 la pellicola, nonostante l’aumento della posa si è rivelata dopo lo sviluppo assolutamente trasparente, quindi si trattava di una pellicola non infrarossa, e probabilmente neppure iperpancromatica – tutte le pellicole iperpancromatiche di Rollei sono stese su base P.E.T., quindi di una pellicola pancromatica che abbiamo esposto e trattato di conseguenza.
L’esposizione: FONDAMENTALE !
La corretta esposizione è sempre fondamentale, ma con la pellicola piana diventa vitale, visti i costi della medesima, visto il fatto che il bracketing di esposizione diventa oneroso e il fatto che non ci si può caricare di troppi chassis durante lo shooting. Come sempre, il mio riferimento è il Sekonic FlashMate L 308x usato di norma in luce incidente, ed è l’esposimetro che è stato usato anche per questi ritratti.Trovate il link al manuale cliccando QUI
L’accessorio indispensabile: il Lumidisc
Indispensabile il secondo Lumidisc piatto ( l’altro è in dotazione ) per verificare l’uniformità di illuminazione nel caso di riprese di soggetti bidimensionali.
La pellicola piana: immensamente più grande
Quando si scatta su pellicola piana, anche “ solo” 10×12 cm, si parla di un formato pellicola con un’area TREDICI volte più grande del formato 24x36mm. Inutile addentrarci, a parità di ingrandimento, nella differenza sia nella visualizzazione della grana che della gamma tonale. E’ un fatto che si tratta di un lavoro pesante e complesso: pesano i banchi ottici ma anche le folding, il treppiedi è d’obbligo, la focheggiatura appoggiando il loupe sul vetro smerigliato altrettanto difficoltosa, l’immagine non è solo capovolta ma con i lati invertiti, la pellicola è contenuta in uno chassis che accetta una pellicola per lato, che necessita per essere caricato di un pò di perizia e del buio più assoluto. Lo sviluppo prevede di solito da un minimo di due a un massimo di 12 scatti per volta. Detto tutto questo, quando gli alisei sono propizi e lo scatto va per il verso giusto, ci si ritrova tra le mani una pellicola, ripeto, anche solo in formato 10×12 cm che in stampa restituisce una gamma tonale inarrivabile dai piccoli formati. Tutta la gestualità, il processo, la fatica, le variabili, alla fine sono ricompensato con una ebbrezza da Oscar. Sì, il grande formato merita.
Lo sviluppo: Rollei Supergrain
Per lo sviluppo ho utilizzato il Rollei Supergrain, alla diluizione 1+12 preceduto da 2’ minuti di prebagno e a seguire, a 20°C , lo sviluppo, per 11 minuti – la pellicola doveva essere una Infrared – con capovolgimenti continui della tank per il primo minuto e a seguire un rovesciamento ogni 30 secondi. Arreso, fissaggio, lavaggio e bagno finale in acqua F.U. con WAC come di consueto.
La Tank Artifex Alfa
La Tank di sviluppo Artifex Alfa è stata progettata e ingegnerizzata da Nando Mulè ed è stata fabbricata in Italia, a Milano con componenti Made in Italy. Il produttore è PuntoFotoGroup che è anche i distributore a livello mondiale. Il caricamento avviene al buio, i passaggi del rivelatore alla luce, accetta da una fino a sei pellicole piane. Grazie a due falsi telai inseriti nel kit è possibile sviluppare due pellicole piane con soli 300ml di sviluppo, quattro pellicole piane con soli 400ml di sviluppo e cinque pellicole piane con soli 500 ml di sviluppo, esattamente la chimica necessaria a sviluppare una pellicola 120 con una tank Paterson. Di recente è stato progettato il modello 2.0 che si differenzia dal precedente per il fatto che la chiusura del coperchio avviene con du pratiche cerniere a molla a differenza del primo modello la cui chiusura era garantita da due manopole con vite filettata. Estremamente compatta, viene fornito con 6 telai due falsi telai, un imbuto per l’immissione dei liquidi e uno strumento uncinato in acciaio – stesso materiali con cui sono realizzati i telai – per l’estrazione dei medesimi.
E’ disponibile il modello Artifex Beta per lo sviluppo delle pellicole piane in formato 20×25 cm a cui è possibile aggiungere degli adattatori opzionali per sviluppare anche le pellicole piane 10×12 cm. Per le pellicole piane in formato 13x18cm è in progettazione un sistema che renderà la Artifex Beta compatibile anche con questo formato. E’ in arrivo anche una vasca di lavaggio per le pellicole 20x25cm e un riduttore per le pellicole 10x12cm.
I risultati, senza filtro rosso 25 A
La pellicola, unitamente al Rollei Supergrain si è comportata egregiamente, una grama estremamente fine e una gamma tonale davvero eccellente ed è risultata essere una pellicola pancromatica. Nell’ingrandimento con diottra vi ricordo che a partire da sinistra gli indicatori sono in decimi di millimetro mentre gli indicatori numerati sono in millimetri.
L’ultimo ingrandimento corrisponde a circa 6 mm della pellicola sul lato lungo.
Il confronto tra lo scatto senza e con il filtro rosso 25 A
Qui è evidente come il filtro rosso abbia schiarito la pelle e al contempo l’abbia levigata addolcendo le rughe. ma alla fine, come è stato possibile raggiungere un simile dettaglio calcolando che davanti agli occhi erano posizionati occhiali dotati di lenti progressive quindi con diottrie variabili?
Qui di seguito trovate il link per scaricare l’ingrandimento a piena risoluzione:
Il trucco c’è e non si vede
Niente di più facile: ho una montatura di riserva senza lenti che ho indossato per i ritratti; in questo modo ho evitato sia i riflessi sulle lenti che le alterazioni di fuoco causate dalla diversa rifrazione diottrica delle lenti.
Il diavolo fa le montature ma non le lenti… !
Non c’è niente da fare, quando si parla di pellicola, soprattutto bianco e nero, e si affrontano oneri e onori del grande formato, il risultato è sempre appagante. L’attenzione in fase di inquadratura e di scatto diventa quasi ossessiva, così come la ricerca del punto di fuoco, e la sua possibile estensione diaframmando e/o basculando. La mancanza di qualsiasi ausilio “meccanico” fatto salvo per l’otturatore tra le lenti dell’obiettivo, dà anche una sensazione di totale padronanza del mezzo fotografico.
La pellicola, ad oggi sconosciuta, ha lavorato molto bene, azzardo e dico che lavora forse meglio della Rollei Paul & Reinhold esposta a 320 ISO. Il Rollei Supergrain rimane uno sviluppo eccellente, così come ho trovato, già lo conoscevo, il sistema di sviluppo delle pellicole piane Artifex di Punto Foto Group.
Se le folding sono “relativamente” costose, un banco ottico oggi costa come una pizzata con birra per quattro persone – magari con dolce e caffè e ammazzacaffè. Ne vale la pena, anche solo parlando del formato 10x12cm, poi rimangono i due empirei, il 13×18 cm e il 20×25 cm. ma già con il 10×12 cm il paradiso è molto, molto vicino…
Alla prossima
Gerardo Bonomo