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Rollei 35, la piccola GRANDE Rolleiflex

Prodotta a partire dal 1965, la Rollei 35 è nata in un periodo n cui l’azienda di  Braunschweig era già “minacciata” dalla neonata medio formato TTL di Goteborg, Hasselblad.

La Rollei 35 rimane una compatta innanzitutto non in senso lato ma nella quale è stato possibile inserire una quantità di feature incredibili per l’utente finale – ahimè, telemetro a parte ( mancante ) -.

Indubbiamente il doppio blasone di Rollei per il corpo macchina e Zeiss per l’ottica hanno da un lato giustificato un prezzo irragginbile ai più ( oltre 4 milioni di lire negli anni 90, quando il corpo macchina di una Leica M6 costava poco più di 5 milioni e l’ultima regina delle biottiche, la Rolleiflex 2.8 GX di milioni ne costava 8. Oggi una Rollei 35 ha un prezzo che può oscillare dai 400 ai 600 Euro, non ha subito quindi l’incredibile lievitazione che hanno raggiunto per esempio i prodotti a pellicola di Leitz.

In questo lavoro, diviso in due articoli e relativi video, vi racconterò il mio punto di vita s questa macchina che con pieno diritto rimane un cardine nella storia della fotocamera e vi mostrerò i risultati sul campo, per i quali ho utilizzato la pellicola Rollei Paul & Reinhold che è stata presentata alla fine del 2020, per onorare i cento anni della Frank & Heideke.

Buona lettura e buona visione a tutti

 

Gerardo Bonomo

Fenton’s photographic van, Crimea, 1855.

Una foto scattata durante la guerra di Crimea, nel 1885: si tratta di Marcus Sparking, assistente del fotografo Roger Fenton.

Siamo agli albori della fotografia: fotocamere e sistemi di sviluppo e stampa occupano dimensioni gigantesche.

E’ il periodo durante il quale lo scultore Frederick Scott Archer ha appena inventato il processo al collodio umido.

Il processo al collodio è uno dei primi processi fotografici. Il processo al collodio, per lo più sinonimo di “processo della lastra bagnata al collodio”, richiede che il materiale fotografico venga rivestito, sensibilizzato, esposto e sviluppato nell’arco di circa quindici minuti, rendendo necessaria una camera oscura portatile per l’uso sul campo. Il collodio viene normalmente utilizzato nella sua forma umida, ma può essere utilizzato anche in forma secca, a costo di un tempo di esposizione notevolmente aumentato. Quest’ultimo ha reso la forma secca inadatta al consueto lavoro di ritrattistica della maggior parte dei fotografi professionisti del XIX secolo. L’uso della forma secca era quindi per lo più limitato alla fotografia di paesaggi e ad altre applicazioni speciali in cui erano tollerabili tempi di esposizione di pochi minuti

La svolta, l’invenzione della pellicola “flessibile “

Collodio umido, lastre in vetro, la fotografia necessita di strumenti ingombranti, difficili da trasportare, ed è alla portata quasi esclusivamente dei fotografi professionisti. Ma poi arriva la rivoluzione, la più importante, l’invenzione della pellicola flessibile che da un lato permette di ridurre in modo epocale le dimensioni della fotocamera, dall’altro consente di scattare più fotografie prima di dover sostituire il “materiale sensibile” o rivolgersi a un negozio di fotografia per l’estrazione del rullo esposto e la sostituzione con un nuovo negativo. La fotografia esce dagli atelier fotografici per entrare, potenzialmente, in tutte le case.

Hannibal Williston Goodwin, un pastore episcopaliano, diresse la House of Prayer, una chiesa episcopale di Newark, nel New Jersey, dal 1867 al 1887. A metà degli anni 1880, desideroso di trovare un supporto chiaro e durevole su cui poter imprimere le immagini da utilizzare nelle sue lezioni sulla Bibbia, ma che fosse anche più comodo delle preesistenti lastre di vetro, e dopo aver visto su una rivista di fotografia che molti fotografi stavano cercando un supporto simile da quarant’anni, Goodwin decise di cimentarsi nella sfida e iniziò una lunga serie di esperimenti lavorando sui supporti rigidi di nitrocellulosa. Alla fine, dopo quasi un anno di lavoro, Goodwin riuscì a trovare quello che tutti, nel campo della fotografia, stavano allora cercando, ossia un supporto che unisse alla trasparenza delle lastre di vetro la leggerezza e la flessibilità della carta allora utilizzata nelle fotocamere a cassetta. Il procedimento con cui era riuscito ad ottenere la pellicola flessibile consisteva nello sciogliere la nitrocellulosa nel nitrobenzolo, nel diluire la miscela ottenuta con dell’alcol diluito con acqua e nel versare il tutto su del vetro facendo poi evaporare prima l’alcol, poi l’acqua e infine il nitrobenzolo. Quello che si otteneva era una pellicola sufficientemente buona da poter essere rivestita con l’emulsione fotografica ed essere quindi utilizzata per scattare fotografie. A giudicare dalle sue prime domande di brevetto, sembra che Goodwin non avesse ben chiaro il motivo per il quale la sua formula funzionasse ma, conscio di avere tra le mani un’idea che poteva rivelarsi molto profittevole, decise di brevettarla. Così, il 2 maggio 1887, dopo essere andato in pensione, egli fece richiesta di un brevetto negli Stati Uniti d’America per “una pellicola fotografica e il processo di produzione della stessa…specialmente in connessione con le macchine a rullo”, ma il brevetto non gli fu rilasciato che dodici anni più tardi, il 13 settembre 1898. Nel frattempo però, a partire dal 1888, George Eastman, un altro inventore statunitense attivo nel campo della fotografia nonché fondatore dell’odierna Kodak, aveva già iniziato la produzione e la vendita di macchine fotografiche a cui nel 1889 aggiunse quella di una pellicola flessibile di sua invenzione, fabbricata con un processo molto simile a quello messo a punto da Goodwin, da usare con macchine fotografiche di nuova fattura.

( Fonte: Wikipedia )

 

 

Eastman, il “pirata di Rochester “


La Kodak, al tempo chiamata Eastman Dry Plate & Film Company, aveva presentato domanda di brevetto per il suo processo di produzione, messo a punto da Henry Reichenbach, il 9 aprile 1889 e lo aveva ottenuto il 10 dicembre 1889, quando l’esaminatore dell’ufficio brevetti, tale William Burke, aveva valutato che il processo della Kodak non era in conflitto con un altro precedentemente depositato ed ancora in attesa di essere valutato, ossia quello di Goodwin. Il ritardo nella valutazione della domanda di Goodwin è forse da imputare alla presentazione stessa della domanda di brevetto. Goodwin, dopotutto, era un pastore, non un chimico come Reichenbach, e il documento da lui presentato, molto più voluminoso di una domanda di brevetto dell’epoca, conteneva formulazioni decisamente imprecise (si possono leggere frasi come “sciolta in nitrobenzolo, o in un altro solvente, e diluita con alcol, o un altro diluente”), formule nebulose e dichiarazioni un po’ troppo avventate. Di fatto, invece di spiegare esattamente in cosa il suo processo di produzione differisse dagli altri (l’idea di creare pellicole flessibili a partire dalla nitrocellulosa era apparsa sulle riviste di settore già da molti anni) e perché funzionasse, Goodwin aveva chiesto, in maniera decisamente audace, un brevetto che coprisse ogni sostituto del vetro e della carta prodotto in nitrocellulosa con il metodo di diluizione ed evaporazione. Burke aveva rigettato la domanda di brevetto chiedendo a Goodwin di ripresentarla in modo meno lacunoso ma, nel corso dell’anno successivo alla prima presentazione, la domanda fu corretta, presentata e rigettata altre sei volte. Come detto, quello che traspare dalle prime domande di brevetto è che forse lo stesso Goodwin non avesse ben chiaro i motivi per cui il suo processo funzionasse e sembra che abbia impiegato una decina d’anni per arrivare a capire la chimica alla base di tale successo, il guaio fu che nel frattempo i suoi concorrenti continuarono ad acquisire quote di mercato.
Goodwin era infatti ancora alle prese con le sue domande di brevetto quando, il 14 aprile 1894, Thomas Edison presentò al pubblico il suo kinetoscopio, una macchina in grado di far scorrere le immagini dando un’idea del movimento e realizzata nel 1889, che montava pellicole trasparenti in nitrocellulosa di larghezza 35 millimetri e marca Kodak. Di fatto, una tale alleanza con Edison, segnò una svolta per il futuro della ditta di Eastman.

Goodwin, aiutato dagli avvocati che nel frattempo aveva assunto, combatté per 11 anni con l’ufficio brevetti per farsi concedere il brevetto della pellicola flessibile, finché, il 13 settembre 1898, la domanda di brevetto, l’ultima di una lunghissima serie, riveduta e corretta per l’ennesima volta fu finalmente approvata. A questo punto era dunque compito dei tribunali decidere se il brevetto era stato legittimamente assegnato e se, in caso positivo, esso coprisse anche il processo di produzione adoperato dalla Kodak. Intanto, Goodwin provò a rimettersi in pari con Eastman e, nel 1900, fondò la Goodwin Film and Camera Company, aprendo una piccola fabbrica a Newark e accusando la Kodak, che nel frattempo era diventata la produttrice dell’80% delle pellicole flessibili vendute negli USA, di violazione di brevetto. Eastman, dal canto suo, bollò il tutto come semplici fandonie, ma probabilmente sapeva che, anche in virtù di alcuni cambiamenti che c’erano stati nel processo di produzione delle pellicole Kodak nel 1899, il processo utilizzato nel 1900 era ancora più simile a quello di Goodwin di quanto non lo fosse quello del 1889. Il tutto sembrò comunque risolversi il 31 dicembre 1900 quando, ancora prima che la produzione delle pellicole nella fabbrica di Newark iniziasse, Goodwin morì per le ferite riportate in un incidente stradale.

( Fonte: Wikipedia )

 

 

Eredità

Nel luglio del 1901, la vedova di Goodwin, Rebecca, vendette il brevetto e l’azienda stessa alla Ansco, una ditta produttrice di macchine fotografiche e carta fotografica, che fu la più grande produttrice statunitense di materiale per la fotografia del XIX secolo, la quale, pochi mesi dopo, propose alla Kodak l’acquisto del brevetto per diversi milioni di dollari. Eastman rifiutò e così, dopo aver verificato, sperimentandolo in uno stabilimento di Binghamton, che la produzione di pellicole flessibili era effettivamente possibile con il metodo di Goodwin, la Ascon fece causa alla Kodak per aver violato il brevetto di Goodwin. Data l’importanza che nel frattempo avevano assunto le pellicole flessibili con il progredire della cinematografia, la causa richiese più di dieci anni e alla fine, nel 1914, la corte federale dello Stato di New York si pronunciò a favore della Ansco, condannando la Kodak a pagare un risarcimento di 5 milioni di dollari (altri 300 000 dollari arriveranno come risarcimento da altri produttori), una cifra enorme per l’epoca (pari a circa 130 milioni di dollari nel 2020) ma comunque non in grado di scalfire gli affari della Kodak, che rimarrà la principale produttrice di pellicole fotografiche per tutto il secolo a venire.[4]
Quello che il giudice, John R. Hazel, sentenziò fu che, sebbene ci fossero delle piccole imperfezioni nel brevetto messo a punto da Goodwin, queste non ne inficiavano la validità. Di fatto, secondo il giudice, il punto fondamentale fu che nessuno, prima di Goodwin, aveva mai utilizzato la dissoluzione della nitrocellulosa in un solvente altobollente (il nitrobenzolo) e la diluizione del risultato con un diluente bassobollente (l’alcol), per ottenere un composto con cui produrre una pellicola. È probabile quindi che né Eastman né Reichenbach avessero mai sentito parlare del processo di Goodwin, ma ciò non toglie che fu quest’ultimo a ideare un simile processo per primo e che quindi il suo brevetto fosse valido e fosse stato violato dalla Kodak per più di vent’anni.

( Fonte: Wikipedia )

 

 

La corsa alla miniaturizzazione.

Non è possibile prescindere da un altro GENIO, che ha rivoluzionato la fotografia, Oskar Barnack, che per le Officine Leitz inventò un sistema per testare la reale sensibilità delle pellicole cinematografiche, già allora in formato 35mm ( di larghezza ), che generavano dei fotogrammi con doppia perforazione – necessaria per permettere prima alla cinepresa prima e poi al proiettore di filmare/riprodurre la pellicola alla velocità di 24 fotogrammi al secondo, ovvero 1,7 metri al secondo. La pellicola cinematografica, che Thomas Edison derivò proprio dalla pellicola 120 di George Eastman, all’inizio aveva fotogrammi che misuravano una base di 24mm per 18mm di altezza. Con l’avvento del sonoro l’area utile si ridusse per arrivare a quella attuale (22x16mm). Barnack altro non fece ( !!! ) che ruotare di 90 gradi la pellicola cinematografica, costruirgli intorno un “accrocchio” e decidere la dimensione del nuovo fotogramma fotografica con misure decisamente più elevate rispetto al formato cinematografico: i 24mm della base del fotogramma cinematografica divennero l’altezza e 36mmm la base del fotogramma fotogramma fotografico, un area utile quindi più che doppia. Ci chiediamo, ma conosciamo la risposta, come sia possibile vedere con una nitidezza assoluta un film, proiettato su uno schermo di decine di metri quadrati, pensando che ogni fotogramma misura meno della metà del fotogramma fotografico. Non stupiamoci dell’invenzione del half frame fotografico, e rendiamoci conto che, di fatto, la pellicola 24x36mm nacque per essere stampata al massimo in formato 10x15cm. Ma teniamo da parte l’idea di ruotare qualcosa di già inventato di 90 gradi, Barnack non fu il solo. Più avanti troveremo altri due personaggi, più attinenti all’articolo.

 

 

Sempre più piccole.

Anche a prescindere dalla Minox 8x11mm qui ostentata da Stanley Kubrick sul set di 2001 A Space Odissey, nell’immagine successiva è sempre Stanley Kubrick a ostentare una fotocamera compatta, questa volta, guarda casa, proprio una Rollei 35.

Dopo l’avvento delle fotocamere a telemetro di Leitz, mentre il mondo comunque iene come riferimento il medio formato, Rolleiflex in testa e in Giappone cominciano timidamente ad apparire le prime reflex 24x36mm, molti appassionati VOGLIONO fotocamere più compatte.

Il gioco continua ancora oggi, dove a fotocamere digitali medio formato si alternano fotocamere sempre digitali, decisamente compatte. Il mondo degli smartphone, di fatto le fotocamere più indossabili mai concepite, guardano a queste schermaglie con aria clemente e compiaciuta.

 

 

Made in Germany o Made in Singapore

Made in Germany o Made in Singapore

In tempi non sospetti, siamo nel 1965, fa specie pensare che questa fotocamera venne prodotta in circa un milione e seicentomila esemplari dei quali solo 400.000 venne prodotti in Germania, gli altri a Singapore, in un periodo dove la produzione ottica tra Occidente e Oriente era ben separata.

C’è da chiedersi quindi cosa spingesse le persone a spendere oltre 4 milioni di Euro per un prodotto brandizzato Germany ma prodotto nel lontano Oriente. Quién sabe…

Nel giugno del 1971, infatti la produzione delle Rollei 35 viene delocalizzata a Singapore dove ne vengono costruiti fino all’agosto del 1974 circa 185.000 esemplari con finiture cromate o nere. Accanto alla produzione di queste fotocamere, ancora a Singapore, fra il luglio del 1972 e l’aprile del 1973 vengono costruiti circa 30.000 esemplari di Rollei 35 equipaggiate con un obiettivo Schneider Xenar 40mm f/3.5. A partire dall’aprile del 1973 gli obiettivi Tessar 40mm f/3.5 che equipaggiano le Rollei 35 non vengono più firmati con il nome Carl Zeiss Tessar ma con il nome Tessar Made by Rollei. Le fotocamere costruite a Singapore si diversificano dalle Rollei 35 costruite in Germania per alcuni particolari, come un otturatore Copal e la finestrella del mirino più ampia. Sul dorso delle fotocamere costruite in Asia viene incisa la scritta “Made by Rollei – Singapore”.

Calcolando che, pur in differenti modelli è stata prodotta per oltre 32, è anche una delle fotocamere che ha avuta la produzione più longeva nella storia della fotografia. Siamo lontani dai quasi 4 milioni di esemplari prodotti da Olympus con la Mju II o dai 2,4 milioni di esemplari della Minox 35, ma parliamo anche di una fotocamera che aveva un prezzo ben diverso confrontato con quello della Mju e della Minox, per citare solo due delle fotocamere compatte che hanno segnato un’epoca.

In fotografia esistono dei brand che sono stati assunti a stato dell’arte: Leica. Rolleiflex, Zeiss, Hasselblad. E della Rollei 35 il corpo macchina era prodotto da Rolleiflex, l’obiettivo da Zeiss.

Prima che arrivassero le fotocamere digitali compatte e naturalmente gli smartphone, la caccia alla fotocamera perfetta tascabile è stata una vera ossessione per moltissimi fotografi. e la Rollei 35 va considerata lo stato dell’arte di questo genere di fotocamere.

Per anni sono stato un fan della Minox 35, prima del modello GT e poi del modello MB. le ho portate con me per anni anni di immense gioie e immensi dolori, non so quante volte sono stato costretto a mandarle in assistenza. la ML permetteva di visualizzare nel mirino il tempo di scatto che avrebbe impostato la fotocamera in priorità di diaframmi, ma soprattutto, premendo a metà il pulsante di scatto si otteneva l’AE Lock, fondamentale per una fotocamera che ha sempre avuto il brutto vizio di sottoesporre in modo brutale. Questo anche a causa della cellula esposimetrica posta sul frontale dell’obiettivo e quindi estremamente sensibile alla luce proveniente dal cielo – il trucco era usare la macchina capovolta in modo che il ponticello fungesse da paraluce evitando sottoesposizioni. Ma alla fine sono più stati i bei ricordi e le belle foto che i tristi momenti di attesa in assistenza.

Non ho mai avuto il mitico Ovetto di Olympus ma ho avuto la Mju II che uso tutt’ora. Una saponetta di plastica mezza consumata con un ergonomia perfetta, si usa con una sola mano, resiste all’acqua, permette l’esposizione spot, è AF, ha una minima distanza di messa a fuoco di soli 35 cm, ha il flash incorporato e il suo 35mm f/2.8 asferico consente immagini di una qualità strabiliante.

E non ho mai avuto la Rollei 35. Dopo l‘esperienza di Minox, di una con mirino galileiano e mesa a fuoco a stima, come la Rollei 35, ho saltato il giro, ma l’ho sempre vista come una macchina epocale, visto il connubio Rolleiflex/Zeiss.

Il resto del mondo non stava a guardare: il caso OLYMPUS

Questa è la prima e l’unica immagine di una fotocamera digitale che ospito in questo articolo. E tra poco vi spiego il perchè.

“Con il termine orientamento al prodotto ( product oriented) si indica l’orientamento del focus esclusivo dell’azienda sui soli prodotti. Quindi, un’azienda orientata al prodotto impiega il massimo sforzo nella produzione di prodotti di qualità e nel fissarli al giusto prezzo in modo che il consumatore differenzi i prodotti dell’azienda e li acquisti.

Il prodotto è creato in modo tale che si venderebbe da solo e vi è un’attenzione particolare alla sua ricerca e sviluppo. Quindi, ha rilevanza solo in un piccolo scenario di mercato e viene spesso combinato con l’orientamento al mercato per soddisfare un ampio segmento. L’orientamento al prodotto è la filosofia del business che è stata incorporata prima del 1920, quando non vi era alcuna sofisticazione nello sviluppo del prodotto e l’unico obiettivo era lo sviluppo di prodotti di alta qualità.

Gli strumenti fondamentali dell’orientamento al prodotto comprendono la ricerca di prodotto, lo sviluppo del prodotto e l’attenzione al prodotto. Un esempio pratico di product oriented è l’azienda Gillette. Essa si concentra sulla produzione dei migliori rasoi usa e getta a un tasso economico. In tal modo, distinguono i loro prodotti con lama di rasoio di alta qualità, facilità d’uso e giusta strategia di prezzo.

L’ORIENTAMENTO AL MERCATO

L’orientamento al mercato (marketing oriented) invece è una filosofia aziendale in cui l’attenzione è rivolta all’identificazione dei bisogni o desideri dei clienti. Quando una società ha un approccio orientato al mercato, si concentra sulla progettazione e vendita di beni e servizi che soddisfano le esigenze dei clienti al fine di essere redditizia. La società di successo orientata al mercato scopre e soddisfa i desideri e le esigenze dei suoi clienti attraverso il suo mix di prodotti.

Una società che utilizza l’orientamento al mercato investe il tempo nella ricerca delle tendenze attuali in un determinato mercato . L’azienda sviluppa quindi una strategia di prodotto che soddisfa i desideri e le esigenze della propria clientela. Al momento dell’implementazione, la società pubblicizza i prodotti come articoli che i consumatori desiderano già piuttosto che convincerli che i prodotti sono qualcosa che dovrebbero desiderare.

Ad esempio, se un’azienda automobilistica si impegna nell’orientamento al mercatocercherà ciò che i consumatori più desiderano e di cui hanno bisogno in un’auto, piuttosto che produrre modelli destinati a seguire le tendenze di altri produttori.

Dunque possiamo dire che il marketing oriented si concentra maggiormente sui clienti e meno sullo sviluppo di tattiche di vendita complesse e convincenti . La globalizzazione ha portato l’orientamento al mercato in primo piano perché l’adattabilità è fondamentale in un clima sempre più competitivo.

L’ORIENTAMENTO ALLA VENDITA

Oltre al product oriented e al marketing oriented un’azienda potrebbe anche decidere di orientarsi verso le vendite. Quando si adotta un orientamento alle vendite, l’attenzione si concentra sulla vendita di quanti più prodotti e servizi possibile senza preoccuparsi del marketing per il proprio target di destinazione.

La logica è che creando un prodotto o un servizio superiore al giusto prezzo, e combinandolo con tattiche di vendita aggressive, è possibile persuadere le persone ad acquistare qualsiasi cosa l’azienda stia vendendo. È importante ricordare che la strategia di determinazione dei prezzi si basa sul valore che si crede che i clienti assegneranno ai prodotti o ai servizi dell’azienda. Ad esempio, gli articoli di lusso hanno spesso un valore percepito più alto, il che significa che sarà possibile quotarli maggiormente rispetto agli articoli standard; e creare così una domanda sufficiente per generare un profitto.

DIFFERENZA TRA ORIENTAMENTO AL MERCATO E ORIENTAMENTO ALLA VENDITA

La principale differenza tra l’orientamento al mercato e l’orientamento alle vendite è che una strategia guarda verso l’esterno e una guarda verso l’interno. Un business orientato al mercato è focalizzato esternamente e crede che soddisfare i bisogni dei suoi destinatari sia la chiave del successo. Pertanto, eventuali cambiamenti in questi bisogni e necessità possono determinare un cambiamento nello sviluppo del prodotto o nel modo in cui i servizi sono offerti.

Al contrario, un’azienda orientata alle vendite guarda verso l’interno perché ritiene che lo sviluppo di prodotti e servizi eccezionali sia la chiave per attrarre i clienti. Un’attività orientata alle vendite non riguarda i desideri e le esigenze del proprio pubblico di riferimento, in quanto reputa che un prodotto ben fatto o un servizio ben sviluppato soddisfi organicamente tutto ciò che un cliente desidera o ha bisogno. ( Maria Ciavotta )”

Tutto questo riguarda naturalmente anche il comparto della fotografia. Olympus da sempre è stata un’azienda product oriented. Basta pensare proprio alle due Olympus PEN qui sopra raffigurate: la prima, prodotta nel 1959, utilizza pellicola 135 ma espone fotogrammi 24x18mm, raddoppiando di fatto il numero di fotogrammi portando a 72 le pose usando un rullo convenzionale 135 da 36 pose; esattamente mezzo secolo più tardi Olympus presenta nuovamente una PEN, questa volta digitale, mirrorless e con un sensore micro quattro terzi. L’accoglienza fu a dir poco tiepida, sembrava impossibile che un sensore di dimensioni così ridotte  (17,3x13mm) potesse competere con i sensori APS o peggio ancora Full Frame. Eppure Olympus ha continuato sulla sua strada, e a seguire la maggior parte delle aziende hanno presentato fotocamere mirrorless e alcune anche con sensore micro quattro terzi. Così come nel 1990 Olympus cessò la produzione delle reflex per passare alla produzione IS. le cosiddette bridge cameras e di fatto smise per sempre si produrre fotocamere reflex. Produsse anche una fortunatissima serie di fotocamere compatte, dal mitico Uovo Robot. Le famose XA,  fino alla Olympus Mju e Mju II ( solo questo modello vendette quasi 4 milioni di esemplari). Ancora oggi Olympus è una delle aziende più importanti nel mondo del fotografico e non solo, pur avendo scelto la politica product oriented, una politica a dir poco coraggiosa.

 

Yashica

Come poteva mancare Yashica? A partire dallo straordinario rapporto qualità prezzo e, almeno in Italia, da un distributore molto lungimirante, Yashica è stata per moltissimi di noi uno dei pochi sistemi reflex abbordabili.

Il primo modello di Yashica Electro è stata presentata nel 1966, compatta, con telemetro ( all’epoca a telemetro c’era solo quasi ed esclusivamente l’irraggiungibile Leica ), sistema esposimetrico a batterie, tempi fino a 30 secondi, esposizione a priorità di diaframmi e un obiettivo, pur fisso, estremamente versatile e luminoso, lo  Yashinon f/1.7 da 45mm. I due LED di avvertimento esposizione posti sulla calotta la rendevano poi, per l’epoca, un oggetto da fantascienza. Al primo modello ne sono seguiti altri e ancora oggi è una fotocamera molto richiesta dal pubblico degli analogici.

Yashica fu fondata nel 1949 e iniziò la sua produzione di reflex analogiche nel 1975 con il modello FX-1. Una delle grandi peculiarità era l’innesto ottiche compatibile anche con le pregiatissime ottiche Contax, e visto che è l’obiettivo l’anima di un sistema, poter montare ottiche di tale livello, su una macchina dal prezzo quasi irrisorio rispetto alle competitor la rese da subito più che appetibile. La FX3 fu presentata nel 1979 e la Super 2000 ( arriva a 1/2000 di secondo ) nel 1986 ( Quel Super 2000, anche sottaceva il tempo di esposizione più veloce ), la confermava quasi come una fotocamera, appunto, dell’anno 2000. Le Yashica rimasero in produzione per ben 23 anni e con un parco ottiche di tutto rispetto, a cui si aggiunge, come accennato, il parco ottiche Contax. Ancora oggi è facilmente reperibile sul mercato ed è una reflex manual focus più che degna.

Compatte, compatte, ancora compatte

Un sogno nel cassetto di tutti, quello di possedere una compatta di alta qualtà, per avere sempre una fotocamera a portata di mano. Se tralasciamo macchine molto semplificate, come la Kodak Instamatic, e alcuni modelli di fotocamere a soffietto 24x36mm con soffietto retrattile degli anni quaranta/cinquanta, il grande problema del sistema reflex, a meno di non decidere di avere con sè un corpo macchina con una sola ottica innestata, rimane quello che, anche in questo caso, non si tratta i fotocamere realmente tascabili, ma tutt’al’più da tenere a tracolla o a spalla. La carrellata qui sopra mostra alcune fotocamere molto compatte, molto blasonate, e ancora molto richieste.

La prima è una Minox 35 GT, capostipite di un’indovinatissima serie di fotocamere davvero compatte, sottili, e ultraleggere. Con il corpo realizzato in makrolon rinforzato con fibre di vetro, quando fece la sua comparsa sul mercato venne accolta in modo estremamente favorevole tanto dagli appassionati che dai professionisti che si occupavano di street. Erede della Minox progettata in solido alluminio da Walter Zapp nel 1937, una fotocamera sicuramente a corredo del romanzesco mondo dello spionaggio, e che produceva immagini in formato 8x11mm, la Minox 35 GT monta la tradizionale pellicola 135, uno sportello, chiude e protegge l’obiettivo. Presentata nel 1974 è armata con un 35mm f/2.8, quattro lenti in tre gruppi che richiama lo schema ottico del Tessar e la cui qualità risultò immediatamente proverbiale. Il funzionamento è esclusivamente a priorità di diaframmi, l’esposimetro è esterno e non raramente viene utilizzata impugnata al contrario, così che il ponticello schermi la fotocellula esterna dell’esposimetro dalla luce proveniente dal cielo e non rischi di ottenere immagini sottoesposte; ha un pulsante per raddoppiare il tempo di posa impostato automaticamente dalla fotocamera e l’otturatore centrale è di una silenziosità proverbiale. benchè sdoganata con tempi di posa che potevano arrivare solo fino a 30 secondi ( !!! ) in realtà arriva a pose superiore ai due minuti, sempre in automatico. – cosa che poche fotocamere al mondo semiautomatiche hanno potuto offrire  )Eccellente quanto piuttosto fragile nella componentistica, negli anni successivi verrà affiancata da altri modelli fino al modello MB, che permetteva una lettura molto più chiara dei tempi impostati all’interno del mirino ma soprattutto disponeva del pulsante AE lock: era sufficiente premere a metà il pulsate di scatto per bloccare l’esposizione sul tempo voluto e ricomporre l’immagine. Autoscatto, possibilità, come i modelli precedenti di montare flash dedicati esterni, possibilità di utilizzare lo scatto a distanza. Il problema di tutti questi modelli Minox è stato la messa a fuoco a stima: la cinghia a corredo, una volta sganciata da una delle due parti della fotocamera e tesa verso il soggetto dava la minima distanza di fuoco, intorno ai 90cm. Venne comunque prodotta anche una lente addizionale  e perfino un paraluce. Come ho detto, all’epoca era una compatta “epocale”.

La seconda è una Ricoh 500, che è stata prodotta in vari modelli a partire dal 1957 armate nella maggior parte del casi con ottica Richenon 40mm f/2.8 non intercambiabile. Nel 1972 viene presentata la Ricoh 500 G, fotocamera che può essere usata in modalità completamente manuale o a priorità di diaframma e, cosa, fondamentale, con messa a fuoco a telemetro. Il 40mm, non è una focale “casuale” perchè è stata impiegata anche su altre fotocamere compatte, come la Rollei 35, di cui parleremo in seguito, una focale a metà strada tra il 35mm e il 50mm, che predilige certamente il ritratto ambientato, ma anche la street photography. Cosa da non sottovalutare assolutamente è l’attacco filettato da 46mm per il filtri sulla ghiera frontale dell’ottica e l’esposimetro incorporato. A seconda del modello il peso oscilla tra il 360 e i 500 grami e le misure sono tali da stare davvero in tasca, magari non quella dei pantaloni, ma certamente nella tasca di una giacca.

Olympus Mju II: personalmente la ritengo la fotocamera più versatile e tascabile di tutti i tempi. Weatherproof, in grado quindi di resistere sia alla pioggia che agli spruzzi d’acqua ( non waterproof, in grado di resistere alle immersioni in acqua come le fotocamere subacquee ) La Mju II è stata prodotta in ben 4 milioni di esemplari, e ha seguito la scia della Olympus Mju e prima ancora delle Olympus XA, chiamate affettuosamente Ovetto, o Uovo Robot. Flash incorporato, monta un 35mm f/2,8 asferico che porta la minima distanza di messa a fuoco a soli 35 cm. Blocco sia dell’esposizione che della messa a fuoco, l’obiettivo è ben protetto dalla parte frontale che scorre in apertura e che rende assolutamente superflua una qualsiasi custodia. Dispone di controllo IR dello scatto a distanza – opzionale – ed è stata prodotta anche in versione QD ( Quartz Date ). 135 grammi in un ingombro di 108×59×35mm. ( una saponetta consumata a metà ). Ne parlo più diffusamente QUI 

Il problema della Mju II come di tante compatte autofocus è che oggi non sono facili da reperire nei punti vendita fotografici perchè non possono essere corredate di garanzia, in quanto è da tempo scaduta la garanzia ufficiale, i distributori non sono comunque in grado di ripararle perchè non ci sono più pezzi di ricambio. Nonostante questo sono macchine ricercatissime: la Mju II oggi la si trova in rete a un prezzo che spesso è il doppio di quello dell’anno in cui fu presentata.

Passiamo alla Yashica T5, un altra compatta gioiello: weatherproof, come la Mju II si distingue innanzitutto per ul doppio mirino, uno tradizionale e l’altro posizionato sulla parte superiore della fotocamera, una sorta di mirino “superscope” o brilliant finder (Brilliant Finder: si trattava di un cubo all’interno del quale era alloggiato uno specchio a 45° sormontato da una piccola lente si dovrà attendere per una miglioria di visualizzazione, il Watson Finder che era sovrastato da uno vetro smerigliato che agevolava la visualizzazione dell’inquadratura ) usato  nelle fotocamere del 900 che permette un’inquadratura dall’alto, come se fosse un pozzetto, appunto per inquadrature dall’alto, sia per prospettive insolite, ma anche per poter appoggiare la fotocamera su un sostegno di fortuna ed effettuare delle lunghe pose in mancanza di treppiedi. L’obiettivo è un Tessar 35mm f/3.5, 4 elementi in 3 gruppi che garantisce una qualità inusuale per una compatta che apparentemente non è mai stata considerata blasonata. La minima distanza solamente in AF è di 35 cm, eccellente, dispone di flash integrato e può lavorare da  un secondo di posa fino a 1/700. Di dimensioni leggermente più spigolose e grosse rispetto alla Mju II la Yashica T5 rimane a tutti i livelli una macchina assolutamente tascabile.

Ricoh GR1: un prodigio di compattezza ( lo spessore della macchina è di pochi millimetri superiore a quella del rullo 135 e la macchina è leggermente affusolata perchè la parte che accoglie il rullo è più spessa ma per l’ingegnerizzazione non c’era bisogno di tutto quello spessore per il resto della fotocamera. Presentata nel 1996, autofocus, focale fissa 28mm. La GR1S, il modello successivo, poteva montare filtri dedicati Ricoh.  La GR1V poteva essere utilizzata anche in manual focus. Chiude la carrellata la GR21, armata con un 21mm, sempre a focale fissa. Fotocamere leggerissime e ultrasottili, ai tempi, quando vennero presentate, avevano come unico “handicap” il prezzo, decisamente molto elevato. Sono fotocamere ancora molto ricercate dagli “analogicisti”. Per i digitalisti ci sono le Ricoh GR – è stato mantenuto nome e sigla – digitali.

Nikon 28 Ti  e 35Ti

Presentate rispettivamente nel 1994 e nel 1993, queste due compatte di Nikon, AF, con minima distanza di messa a fuoco a 40cm, non possono essere considerate solo fotocamere ma veri pezzi di eccellenza progettistica e di design: in un periodo in cui da tempo imperavano i display LCD su tutte le fotocamere, Nikon sceglie di apporre sulla calotta superiore le finestre di controllo delle principali funzioni, non solo completamente analogiche, ma con un ago – e non parliamo dell’esposimetro – che si posizionava tra un riferimento e l’altro. Non so perchè mi ha sempre ricordato l’elegantissimo orologio analogico che veniva montato al centro della plancia in radica delle Maserati. Fotocamere eccezionale, un esercizio di ingegneria e di design assoluti ma che non hanno avuto la risposta del pubblico che si meritavano, per il prezzo innanzitutto e per le dimensioni, contenute sì, ma non proprio da considerarla una vera compatta.

 

 

 

 

E torniamo a Rolleiflex

Nel 1920 Reinhold Heidecke (1881-1960) e Paul Franke (1888-1950), ex tecnici della Voigtländer, fondarono a Braunschweig, in Germania, la “Franke & Heidecke”. La prima fotocamera prodotta fu la Heidoscop, nel 1921, stereoscopica con mirino a pozzetto reflex, cui seguì nel 1926 la Rolleidoscop, dotata di dorso per pellicola in rullo, entrambe ispirate alla Stereflektoskop, fotocamera stereo realizzata nel 1913 dalla Voigtländer.

Dopo i primi dieci prototipi del 1928, nel 1929 entrò in produzione la Rolleiflex, con due obiettivi, uno per la visione e la messa a fuoco e uno per la ripresa, con dorso per pellicola in rullo (117 o 120). L’obiettivo di ripresa era lo Zeiss Tessar 75mm f/3.8, il mirino a pozzetto era dotato di livella a bolla, l’otturatore era un Compur della Friedrich Deckel. Nel 1931 fu presentata la Rolleiflex 4×4, che utilizzava pellicola in rullo 127 ed era dotata di manovella laterale per l’avanzamento della pellicola. Nel 1933 uscì la Rolleicord, versione economica della Rolleiflex. Nel 1937 fu prodotta la Rolleiflex Automat, dotata fra l’altro di autoscatto e blocco contro le doppie esposizioni.

Sembra che agli inizi questa fotocamera stereo venisse anche utilizzata per fotografie bidimensionali, o singole, tappando di volta in volta l’obiettivo sinistro e quello destro, esattamente come per l’italianissima Iso Duplex, nelle cui istruzioni veniva descritta la doppia possibilità di ottenere doppie immagini stereo o singole immagini bidimensionali.

Chi non ha vissuto quegli anni non può comprendere il concetto di half frame, piuttosto che di fotocamera stereo che alla bisogna scattava anche foto singole, piuttosto che tank daylight come la Rondinax di Agfa che permetteva di sviluppare anche solo 12 fotogrammi per volta da un rullo da 36 pose. La guerra era finita ma era appena finita; nn solo pochi si potevano permettere l’essenziali ma anche le classi più abbienti cercavano di non sprecare neppure un atomo di materia. Una lezione incomprensibile per il terzo millennio, ma di cui avrebbe parecchio bisogno.

The Queen’s Gambit

“Eccellente”! le disse di nuovo. Si chinò, prese il re, lo tenne in mano un momento e lo appoggiò in orizzontale sulla scacchiera. Le sorrise affaticato. “Abbandono con sollievo”

E’ usanza, tra i Grandi maestri, abbandonare una partita a scacchi prima del “matto” semplicemente deponendo in orizzontale il proprio Re sulla scacchiera.

Il giorno che Franke e Heidecke raddrizzarono il pezzo e lo trasformano nel re delle fotocamere

Mi piace pensare che se Oskar Barnack rovesciò la pellicola cinematografica inventando il formato 24x36mm, Franke e Heidecke un bel giorno raddrizzarono una fotocamera stereo Heidoscop, che già veniva utilizzata anche per scatti singoli, eliminare una delle due ottiche da presa, allontanarono leggermente l’ottica da visione , raddrizzarono la fotocamera e inventarono la Rolleiflex.

Dietro ad alcune invenzioni geniali, qui nella storia della fotografia, ci sono intuizione di una apparente semplicità quasi infantile, ma che solo un genio è in grado di vederla.

E’ usanza, tra i Grandi maestri, abbandonare una partita a scacchi prima del “matto” semplicemente deponendo in orizzontale il proprio Re sulla scacchiera.

Genius

La storia dell’evoluzione delle fotocamere è costellata da geni, abbiamo visto, citiamone un altro, a mio parere il migliore. Una foto di Edwin Land, Din per gli amici, l’inventore di Polaroid, in posa con una delle figlie. Era una domenica del 1944 Land era in vacanza a Santa Fe, nel New Mexico, e come ogni domenica Din faceva lunghe passeggiate con la figlia Jennifer, di appena tre anni, fotografandola con la sua fida Rolleiflex. La bimba una sera gli chiese: “ papà, perchè devo sempre aspettare una settimana per vedere le fotografie che mi fai”. Per Land fu un’illuminazione: Si precipitò nei suoi laboratori, a Boston. Quattro anni dopo, nel 1948, nacque la la Polaroid Land Model 95. Merito del Genius, forse della sua Rolleiflex, certamente del candore della domanda della bimba. Saper ascoltare è sempre più saggio di saper parlare….

Anni dopo Land dichiarò: “ “Nel giro di un’ora, la fotocamera, il film e la chimica fisica sono diventati immediatamente chiari per me”.

Ma dall’illuminazione alla realizzazione, come ho detto, passarono ben 4 anni.

Il patto di non belligeranza.

Questa foto ritrae Victor Hasseblad e Reinhold Heidecke nel 1955. Heidecke si spegnerà nel 1960. Paul Franke era già mancato nel 1950. In quel periodo Hasselblad aveva già ampiamente surclassato nelle vendite Rolleiflex. Si racconta che tra i due si creò un bonario patto di non belligeranza: Hasselblad si sarebbe impegnato a non produrre fotocamere twin lens, Heidecke a non produrre fotocamere  reflex single lens . Uno dei due non mantenne la parola data.

I modelli di Hasselblad e Rolleiflex coevi

Victor Hasselblad presentò il suo primo modello, la 1600 F, nel 1948. In quel periodo Rolleiflex presentava ROLLEIFLEX AUTOMAT 3 (K4 B2)

Dal 1945 al 1949; matricole da 1050000 a 1099999.

I cursori circolari per la selezione di tempi e diaframmi hanno inserti frontali neri; coassiale al pulsante di scatto è presente la filettatura per il cavo flessibile; fra le due ottiche compare la stampigliatura ‘Compur Rapid’ e sotto l’obiettivo di ripresa ‘Franke & Heidecke Braunschweig’. Dall’inizio della produzione la macchina monta il Carl Zeiss Jena Tessar 7,5 cm f3,5, dal febbraio 1946 il Carl Zeiss Opton Tessar 7,5 cm f3,5 e dal luglio dello stesso anno lo Schneider Xenar 75 mm f3,5; tutte le ottiche hanno trattamento antiriflesso: il Tessar presenta la caratteristica T rossa e lo Xenar il triangolino bianco. L’introduzione delle ottiche Schneider deriva dal fatto che Zeiss Jena e Zeiss Opton non sono in grado di rifornire Franke & Heidecke di tutti gli obiettivi necessari per la produzione della Rolleiflex.Nel 1955 Hasselblad presento il modello 1000, mentre Rolleiflex presentava il modello ROLLEIFLEX 3,5 B (K4 B)

Dal 1954 al 1956; matricole da 1428001 a 1479999 (Tipo I) e da 1479000 a 1739999 (Tipo II).

Conosciuta anche come ROLLEIFLEX 3,5 MX-EVS. Viene introdotto l’accoppiamento tra selezione di tempo e diaframma con un valore EV. Tale accoppiamento è effettuato selezionando il valore EV sulla parte frontale del selettore circolare dei tempi: ruotando entrambi i selettori si può scegliere una delle coppie tempo-diaframma corrispondenti al valore EV selezionato. La manopola di messa a fuoco ha un diametro più grande. Vengono ridisegnati gli attacchi per la cinghia di trasporto, con mezzaluna di metallo per la protezione del rivestimento, i bottoni porta rullo, il cursore per il blocco del pulsante di scatto ed il selettore della sincronizzazione flash, ora coassiale alla presa di sincronizzazione. Il tipo I permette l’esclusione dell’accoppiamento tra tempi e diaframmi attraverso una pressione sul selettore dei diaframmi; il tipo II permette il disaccoppiamento attraverso un apposito comando sul fronte del selettore dei diaframmi: se lo si preme e lo si ruota fino al blocco e all’indicazione dei due semicerchi c’è accoppiamento, ruotandolo invece fino al blocco senza indicazioni i selettori di tempo e diaframma sono indipendenti l’uno dall’altro. Le matricole del tipo I e del tipo II in parte coincidono.

L’ultima vera rivoluzione in casa Rolleiflex è del 1956, con l’introduzione della 2.8 E che vanta un esposimetro al selenio incorporato ( non TTL ) che grazie a un diffusore può essere utilizzato anche per le misurazioni in luce incidente. Ma ormai il destino di Rolleiflex è segnato come pure l’avvento e di lì a poco l’egemonia assoluta di Hasselbald.

Il tradimento

Nel 1976 la Rolleiwerke Franke and Heidecke – che mancò nel 1960 e quindi non può essere considerato responsabile di questo tradimento – presenta la Rolleiflex SLX una medio formato SRL, come Hasselbad. Ma è il canto del cigno morente. Hasselblad in quegli anni domina ancora di più il mrcao e indubbiamnete l’allunaggio del 1969 rimane una operazione di NON marketing di tale portata da rendere immortale questo brand, già immortale per la sua innovazione e le sue caratteristiche tecniche. Vicotr Hasselblad fece appena in tempo a vedere questa nuova fotocamera, ben lontana comunque dai suoi modelli, dal numero dei suoi accessori e dal suo parco ottiche: si spense infatti nel 1978.

Le fotocamere Rolleiflex di medio formato hanno continuato a essere prodotte fino al 2014 dalla DHW Fototechnik, società fondata da ex dipendenti della Franke & Heidecke. La DHW Fototechnik ha annunciato due nuove fotocamere Rolleiflex e un nuovo otturatore elettronico per la fiera di settore Photokina 2012. La società ha presentato istanza di insolvenza nel 2014 ed è stata sciolta nell’aprile 2015, ponendo fine a qualsiasi ulteriore produzione: l’attrezzatura per la produzione in fabbrica e le rimanenti scorte di parti sono state messe all’asta a fine aprile 2015.

Fine produzione

Una piccola azienda è stata creata di nuovo con gli ex dipendenti di DHW Fototechnik nella stessa locazione, sotto il nome di DW Photo.DW Photo si concentra sulla produzione di reflex medio formato Rolleiflex Hy6 mod2 (digitali ed a pellicola) e l’assistenza per le fotocamere esistenti, compresa la fornitura di aggiornamenti firmware e hardware.

Ma torniamo alla Rollei 35

La Rollei 35 fu presentata per la prima volta al Photokina nel 1966. Quando nacque fu la più piccola macchina fotografica con pellicola 135mm, oggi è la seconda dopo la Minox 35, il cui modello, EL, fu presentato nel 1974. Quindi la Rollei 35 ha detenuto il primato di fotocamere 35mm più compatta al mondo per bel otto anni. In 30 anni sono state prodotti 2 milioni di Rollei della serie 35. Ho già scritto che Franke e Heidecke erano già belli morti e sepolti. Da un lato il progetto fu encomiabile, e lo dimostra il fatto che per 8 anni è stata la fotocamera 35mm più compatta al mondo e che, attraverso i suoi differenti modelli, è rimasta in produzione per trent’anni.

Heinz Waaske ( non quello della salsa )

Intorno al 1960, quando furono lanciate sul mercato le prime fotocamere miniaturizzate per pellicole da 16 mm, Heinz Waaske, ingegnere capo del produttore di fotocamere tedesco Wirgin, pensò che gli acquirenti delle fotocamere miniaturizzate da 16 mm, e anche delle fotocamere Olympus Pen da 35 mm , fossero stati motivati nell’acquisto ​​non dal piccolo formato della pellicola, ma dalle dimensioni delle fotocamere. Dopo aver già progettato la Wirgin Edixa 16 da 16 mm e le fotocamere reflex a obiettivo singolo da 35 mm, ora si proponeva di costruire una fotocamera da 35 mm in un alloggiamento che fosse solo solo un terzo del volume delle fotocamere con mirino dell’epoca .

Quando Heinz Waaske ha finalmente presentato il nuovo prototipo di fotocamera completamente funzionante al suo datore di lavoro, Heinrich Wirgin (alias Henry Wirgin), Wirgin disse: “Quindi hai perso tempo con la tua costruzione nel mio laboratorio?!”. Fu quello il momento in cui Wirgin disse al suo capo ingegnere che aveva già deciso di porre fine alla produzione di fotocamere e alle attività di attrezzature fotografiche.

In cerca di un nuovo impiego, Waaske presentò la sua fotocamera compatta a Ludwig Leitz e alla Kodak, ma senza successo. Nel gennaio 1965 Waaske iniziò a lavorare per Rollei a Braunschweig.

Heinrich Peesel, divenuto amministratore delegato di Rollei nel marzo 1965, ebbe per caso un primo assaggio del piccolo prototipo di fotocamera del suo nuovo dipendente. Pieno di entusiasmo, Peesel decise che la fotocamera doveva essere immediatamente ulteriormente sviluppata da Waaske per la produzione di massa, ma utilizzando solo parti dei fornitori di Rollei. La piccola fotocamera di Waaske fu presentata alla Photokina nel 1966 come Rollei 35, con un obiettivo migliore: l’obiettivo Zeiss Tessar 3.5/40mm, un esposimetro Gossen al CdS, quindi all’avanguardia rispetto agli esposimetri al selenio,  e un otturatore centrale realizzato di Compur, utilizzando il design dell’otturatore brevettato da Waaske.

La fotocamera ha dovuto essere convertita per utilizzare parti dei fornitori di Rollei, poiché Rollei non aveva mantenuto rapporti commerciali con la Metrawatt e la Steinheil. Un obiettivo Tessar di alta qualità venne realizzato da Zeiss. Il fornitore di esposimetri di Rollei era Gossen. Se utilizzare un sensore al selenio fotovoltaico o una fotoresistenza CdS, e questo è un punto di forza di Rollei, così come lo fu della Yashica mat 124, ad agosto fu finalmente deciso di utilizzare un esposimetro a batterie al CdS. Un esposimetro alimentato a celle di selenio era più economico nella produzione e non aveva bisogno di una batteria. Tuttavia, la fotoresistenza CdS molto più piccola migliorò l’aspetto elegante della fotocamera, l’esposimetro a batteria era più resistente agli urti e la “tecnologia CdS” poteva essere utilizzata come punto di forza nella pubblicità. La custodia doveva essere cambiata solo leggermente, poiché Waaske aveva inconsapevolmente adottato l’aspetto delle fotocamere reflex a doppia lente di Rollei, posizionando i controlli del tempo di esposizione e del diaframma a destra e a sinistra dell’obiettivo. Tuttavia, il designer di Rollei Ernst Moeckl rivisitò l’alloggiamento e, modificando il raggio del bordo, ha reso il corpo della fotocamera ancora più piccolo.

Per la batteria al mercurio PX 13 (= PX 625 = MR 9) dell’esposimetro, venne ideato un alloggiamento all’interno della fotocamera. Al prototipo venne aggiunta una slitta per il montaggio di un flash elettronico sulla piastra di base. Non era possibile posizionare la slitta sulla parte superiore della fotocamera a causa dell’esposimetro e del dispositivo di trasmissione sottostanti. Il montaggio della slitta sul coperchio del telaio avrebbe anche potuto causare danni se si fossero utilizzati alcuni tipi di flash piuttosto pesanti di quel tempo. Pertanto, per ottenere una tonalità di luce naturale, la fotocamera doveva essere capovolta, quando si utilizzava un flash, per ottenere la fonte di luce sopra l’obiettivo. Il nome previsto per la fotocamera doveva inizialmente essere Rollei Privat, che era anche l’incisione sulla bozza finale nel marzo 1966. Ma nell’aprile 1966, quando Peesel decise di designare tutte le fotocamere Rollei in base al formato di pellicola applicato, la designazione divenne Rollei 35.

 

Approfondiamo

La produzione di massa iniziò nel luglio 1966. I primi annunci mostravano fotocamere con dispositivi di bloccaggio a rilascio e pulsante per il test della batteria. La prima si è rivelata ridondante, poiché con l’obiettivo inserito la fotocamera non poteva comunque essere sganciata. Quest’ultima caratteristica è stata abbandonata, per motivi di affidabilità: i contatti elettrici potevano facilmente guastarsi. L’esposimetro era sempre acceso, anche con l’obiettivo inserito. Racchiusa nel buio della borsa fotografica, praticamente nessuna corrente scaricava la batteria, che quindi è rimasta utilizzabile per molti anni.

Messa a fuoco

Come la maggior parte delle 135 fotocamere degli anni ’60, la Rollei 35 è una fotocamera con mirino galileiano: il telemetro non era incluso. Intorno al 1970, Rollei sperimentò l’aggiunta di un telemetro integrato, ma non c’era abbastanza spazio nella fotocamera. Fu sperimentato un meccanismo di telemetro esterno con un prisma rotante come usato in Zeiss Ikon Super Ikonta, ma quando la produzione si è spostata a Singapore questa idea è stata abbandonata.

Made in Germany

Dopo la pre-produzione di 50 pezzi, sono state realizzate 200 fotocamere da utilizzare come pubblicità e campioni di prova. Dopo che alla fine del 1966 erano stati costruiti 900 pezzi dei modelli normali, nel 1967 ogni mese venivano prodotte 1000 fotocamere. Fino all’agosto 1967 tutte le fotocamere Rollei 35 avevano l’insolita firma “Made in Germany by Rollei – Compur – Gossen – Zeiss”, ma da allora divenne “Made in Germany by Rollei”. Ulteriori modifiche dal primo anno di produzione sono state la bobina di avvolgimento in plastica e il cuscinetto di riavvolgimento del film, la presa a forma di V per il blocco inferiore e la piastra antitorsione per la cartuccia del film. Nel settembre 1968 uno speciale cemento per lenti ha impedito la precedente permeabilità ai raggi UV del Tessar. Una variante con rivestimento in pelle verde scuro è stata respinta dal reparto vendite, non volendo ulteriori modelli a soli 2 anni dall’inizio delle vendite. Tuttavia, un altro prototipo con rotori di regolazione vuoti in alluminio anodizzato si è rivelato troppo costoso da produrre.

Made in Singapore

Con la costituzione dello stabilimento produttivo a Singapore, sono iniziati i preparativi per l’immediato trasferimento della produzione Rollei 35 a Singapore. Poiché non c’erano fornitori a Singapore, tutte le parti dovevano essere prodotte lì da Rollei o importate dal Giappone o dall’Europa. Le fotocamere hanno ricevuto l’incisione “Made by Rollei Singapore”. Al posto degli obiettivi Zeiss originali, così come gli esposimetri Nissei e gli otturatori centrali Copal (entrambi prodotti giapponesi), è stata utilizzata la produzione di obiettivi ora su licenza (“Made by Rollei”). Il prezzo al dettaglio è sceso continuamente a causa del basso costo del lavoro. Tuttavia, questo non ha continuato a essere un vantaggio notevole, a causa della riduzione del costo delle fotocamere concorrenti, ma a differenza di Rollei, grazie al crescente utilizzo dell’elettronica. La produzione Rollei a Singapore ha chiuso nel 1981.

Uso della Rollei 35 oggi

Rollei 35, Rollei 35 S e Rollei 35 T utilizzano una batteria al mercurio MR-9 con 1,35 volt, che non viene più prodotta a causa di considerazioni ambientali. Ma ci sono alternative disponibili. Una cella zinco-aria fornisce anche 1,35 volt, ma con un tempo di utilizzo limitato da 1 a 6 mesi dopo la prima attivazione, a seconda del design della cella. In caso contrario, l’esposimetro può essere regolato per l’uso di batterie all’ossido d’argento prive di mercurio. Senza regolazione, la tensione più alta di 1,55 volt porterebbe a una sovraesposizione di 2 o 3 STOP di apertura. È necessario un adattatore per adattare la batteria all’ossido d’argento più piccola al vano batteria. Il più vicino per dimensioni all’originale MR-9 sarebbe SR-44. Le batterie alcaline come la LR-9 a.k.a. PX 625U non possono essere utilizzate, poiché le celle alcaline non forniscono una tensione costante e porteranno alla sottoesposizione dopo essere semi-esaurite. Un’altra opzione è l’adattamento della fotocamera per batterie 1,5 V da un’officina Rollei.

Il punto di vista di Sandro Presta, fotoriparatore.

In Italia abbiamo ancora diversi eccellenti fotoriparatori. Tra questi annoveriamo Sandro Presta. Proprio di recente, e per la prima volta, si è occupato di rimettere a nuovo una Rollei 35.

Ecco le sue conclusioni:

“Oggi diamo il benvenuto in laboratorio alla piccola di casa Rollei, la Rollei35.

𝘔𝘢 𝘤𝘰𝘮𝘦? 𝘚𝘦 𝘧𝘪𝘯𝘰 𝘢𝘭𝘭𝘢𝘭𝘵𝘳𝘰 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘰 𝘥𝘪𝘤𝘦𝘷𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘭𝘦 𝘵𝘳𝘢𝘵𝘵𝘪??

Mea culpa, è vero, ma le richieste sono pressanti e continue, e non potevo più trascurarle.

La prima arrivata aveva già un piccolo casino all’interno. Quale?

Esposimetro morto.

Dopo aver verificato che l’anima dei fondatori della Rollei in questa macchina non è entrata nemmeno di striscio, ho scoperto che il motivo del malfunzionamento era dovuto al distacco di uno dei due reofori della fotocellula saldato direttamente sul positivo di batteria.

Beh, sembra una belinata dai, una punta di saldatura a stagno e via il dolore.

Eh, no, maledetti eredi di Reginald. Non si può. La paglietta che fuoriesce dal vano batteria è di acciaio inox, hai voglia a fargli attaccare sopra lo stagno.

Pazienza dovrò ingegnarmi, come al solito.

Fortunatamente ho la saldatrice a punti, ed ho potuto saldare sulla paglietta inox una lamina in acciaio al silicio, usata normalmente per assemblare i pacchi batteria. Peccato che le dimensioni minuscole siano un ostacolo, ma già da tempo mi ero costruito due puntali fini per poter raggiungere anche gli anfratti, come li chiamiamo in genovese.

Due colpetti a media potenza (per non fondere la cassa in plastica) e la lamina è saldata.

Il resto galoppa in discesa, e già che l’ho aperta una bella revisione al ritardatore dell’otturatore, messo in una posizione assurda e agli altri micro meccanismi.

Dai, Reginald, sono convinto che tu l’hai deplorata in tomba, ma alla fine anche se illegittima, è ancora una delle tue figlie, o devo chiamarla figliastra??

Rollei 35, il mio punto di vista

Confesso di non aver mai posseduto una Rollei 35, la minima distanza di messa a fuoco a soli  90cm e la mancanza del telemetro mi hanno sempre dissuaso; ma al contempo ho avuto più di una Minox 35 con le quali ho avuto problemi non indifferenti, primo tra tutti un sistema di esposizione a priorità di diaframmi imbypassabile, ma, chissà perchè, quando venne presentata la Minox era già meno giovincello e mi convinse.

Ecco come la vedo io sulla Rollei 35:

Pro:

  1. Tempi completamente meccanici e possibilità di lavorare in posa B
  2. Diaframmi completamente meccanici
  3. Presenza di un esposimetro incorporato, da prendere con le pinze ma comunque di aiuto nella stima dell’esposizione – quando proprio non si ha sottomano un esposimetro esterno in luce incidenza
  4. Esposimetro completamente sganciato dal sistema di esposizione e al CDS con pila sostituibile
  5. Presenza sull’obiettivo di un attacco filtri, fondamentale nel bianco e nero e che permette pure l’utilizzo di un paraluce
  6. Misure davvero contenute e una distanza tra alloggiamento pellicola  e il rocchetto di avvolgimento tale per cui non è impossibile portarsi a casa un bel 38 fotogrammi
  7. Ottica indubbiamente eccellente
  8. Misure davvero quasi tascabili, per tasche rinforzate, però, perchè il peso non è indifferente

Contro

  1. assenza di sistema telemetrico
  2. obbligo di lavorare con la pellicola al contrario: i numeri appaiono capovolti
  3. minima istanza di messa a fuoco troppo poco… minima
  4. Blocchi sia della ghiera dei tempi che della ghiera dei diaframmi che rendono impossibile starare involontariamente le ghiere, ma occorrono sette dita per ruotare ciascuna ghiera
  5. Assenza dell’autoscatto, utile quando non si dispone dello scatto filettato
  6. Assenza del tempo di posa di 1 secondo.

Conclusioni.

Nella seconda parte mi sono occupato della prova sul campo della Rollei 35 usando la pellicola Rollei Paul & Reinhold che ho esposto sia a 320 che a 640 he a 1600 ISO, sviluppata in Rollei Supergrain.

I risultati, sia ella fotocamera che della pellicola? Un poco di pazienza, aspettate la prossima puntata.

Nel frattempo, dall’alto di questa fotocamera che rimane comunque un pilasto nella storia degli apparecchi fotografici, vi ringrazio per il vostro tempo e vi auguro il meglio

Cordialmente

Gerardo Bonomo

 

Dovuti ringrazianti

 

A  Felix Bielser di PuntoFotoGroup per aver messo a disposizione la SUA Rollei 35 Limited Edition

A Sandro Presta, titolare del Laboratorio Fotografico Ligure per avermi consentito di pubblicare il suo intervento a proposito di Rollei 25

 

Ai compianti Franke & Heidecke che con la loro genialità e lungimiranza hanno reso possibile tutto questo.

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