LA HORIZON 202
La Horizon 202 è stata prodotta dal 1991 fino al 2003 ed è l’evoluzione della Horizont di cui ho parlato approfonditamente qui
Rispetto al primo modello le modifiche sono state sostanziali, sia nel design, che nel materiale impiegato che in una implementazione dei tempi di scatto.
Ne ho già parlato in diversi articoli, per vostra comodità ripropongo qui l’articolo più dettagliato, e qui di seguito ecco l’elenco completo degli articoli già pubblicati:
LAB-BOX E PROLID
Anche LAB-BOX non è una novità: è stata presentata oltre un anno fa e ne ho parlato in diversi videotutorial e articoli che elencherò alla fine di questo paragrafo. Ma c’è una novità: il Professionl LID, o PROLID,che merita attenzione.
Il PROLID era stato concencepito contestualmente a LAB-BOX, in fatti anche le prime LAB-BOX prodotte hanno al loro interno una scanalatura nella quale, usando una seconda parte a incastro venduta insieme al PROLID, si innesta la sonda del termometro elettronico
Il PROLID incorpora quindi un termometro a sonda che può essere impostato tanto sui gradi centigradi che Fahrenheit: è estremamente preciso ma soprattutto estremamente reattivo e permette, in gradi e decimi di gradi, di monitorare la temperatura della chimica che è stata versata nella LAB BOX. Fondamentale per il processo colore C 41 non è da disprezzare neppure per il trattamento bn: se per motivi ambientali la temperatura, specie dello sviluppo, dovesse aumentare o diminuire durante il trattamento, è possibile compensare queste variazioni diminuendo o aumentando la durata del tempo di sviluppo. Al termometro digitale, sul display a cristalli liquidi, purtroppo non retroillumiato, ma per fortuna alimentato da una normale batteria stilo AAA facilmente reperibile si affiancano ben tre timer distinti sui quali è possibile impostare tre differenti countdown. I tempi si impostano salendo di 15″ per volta; al termine del countdown il display lampeggia, avremmo preferito l’aggiunta di un segnale acustico. Un’altra possibilità, in un modello futuro sarebbe quella di dotare i countdown della possibilità, giunti a zero, di evidenziare i secondi di tempo prima dell’azzeramento, utile quando per qualsiasi motivo si decide di prolungare uno dei tempi del processo e come avvertimento se involontariamente si prolungasse uno dei processi, specie lo sviluppo.
Qui di seguito i link ai miei videotutorial e articoli su LAB-BOX che ho già pubblicato, a partire dal primo sulla Agfa Rondinax 35U, da cui è derivata la LAB- BOX:
ARS IMAGO MONOBATH
Per LAB-BOX, come per qualsiasi strumentazione, le istruzioni sono MOLTO importanti.
Trovate QUI le istruzioni del Monobath di ARS IMAGO e QUI le istruzioni del PROLID. Leggete entrambi i manuali con molta attenzione.
Per questo lavoro ho usato il Monobath in modalità One Shot, ovvero alla soluzione 2+1+1, quindi 200ml di acqua del rubinetto, 50ml di parte A e 50 ml fi parte B. Di norma i due flaconi da 500ml vengono uniti a fare 1000ml da cui si “spillano” ogni volta 300ml di soluzione pronta che a sviluppo/fissaggio ultimato s rimettono nella bottiglia madre. In questo modo Ars Imago garantisce almeno 15 cicli di sviluppo/fissaggio. Io preferisco il secondo metodo, con il quale si sviluppano/fissano solo 10 rulli ma ogni volta di soluzione assolutamente fresca. Attenzione: se usate il Monobath miscelando i due flaconi il tempo di sviluppo per qualsiasi pellicola, all’interno di una temperatura che può essere indifferentemente da 18 fino a 27 gradi centigradi è di 8 minuti. Usando la diluizione 2+1+1 la tolleranza di temperatura rimane identica, ma il temo di sviluppo/fissaggio va portato a 10 minuti.
Per quanto riguarda il PROLID non ci sono particolari accorgimenti; dopo aver inserito la batteria stilo AAA e aver messo nella CORRETTA posizione la guarnizione in dotazione, bisogna solo aver cura di NON lavare mai il PROLID, ovvero di immergelo nell’acqua. Eventuali gocce residue dello sviluppo precedente vanno asportate con un panno umido. La sonda d’acciaio è collegata al PROLID da uno snodo; io suggerisco, una volta utilizzata e dopo aver lavato la tank, di rimetterla in posizione di lavoro, così da evitare di piegarla involontariamente in modo inopportuno
Le pellicole non compatibili con LAB-BOX
Ho già parlato di questo argomento, ma lo voglio riproporre: la maggior parte delle pellicole ha l’emulsione stesa su una base di triacetato, altre sono stese su base P:E.T. Il P.E.T. ( ) ha una trasparenza cristallina, peso limitato, elevata resistenza e lunga durata sono gli attributi che fanno del PET la materia sintetica moderna, tanto apprezzata che è oggi. Grazie alle sue proprietà, il PET viene utilizzato in sempre più ambiti. Dalla produzione di contenitori, a quella di pellicole, fino ai tessili; le possibilità offerte dal PET sono infinite. Anni di ricerca e sviluppo hanno trasformato il PET al punto da renderlo un materiale tra i più innovativi e orientati al futuro per la fabbricazione di imballaggi moderni. Tecniche di produzione costantemente migliorate hanno, poi, consentito un’ottimizzazione tale, da ampliare la gamma di possibili applicazioni di quest’incredibile materia.Da un punto di vista fotografica il P.E.T. ha una base più cristallina rispetto al triacetato, una maggiore stabilità dimensonale e un tempo di asciugatura dimezzqto rispetto al triacetato. Non dà alcun tipo di problema con le tank tradizionali mentre, nel formato 135, usando la LAB BOX – ma anche la Agfa Rondinax – la taglierina non riesce a separare la pellicola dal rullino, nel formato 120, a causa della sua proprietà di arrotolarsi più rapidamente del triacetato, non riece a “cadere” nel cilindro/camera oscura del modulo 120. Quindi, per fare un esempio, tutte le pellicole Rollei “Retro”, ovvero la RPX 25, la retro 80S, la Superpan 200, la Retro 400s e la Rollei Infrared non andrebbero sviluppate nella LAB-BOX. Da esperienza personale, nel formato 135, agendo più volte sulla taglierina alla fine si riesce a separare la pellicola dal rullino, mentre con il Modulo 120 la pellicola non entra nel cilindro/camera oscura con il rischio/certezza di bruciarla una volta aperto il coperchio per agganciare la pinza di acciaio alla pellicola.
Parlando invece del Monobarh, Ars Imago precisa che I risultati migliori si ottengono con le pellicole a grana cubica come Ilford Hp5, Fp4 e Pan F, Kodak Tri-x, Rollei Rpx, Fomapan o Kentmere. E’ invece sconsigliato l’utilizzo con le pellicole T-grain come Ilford Delta, Kodak T-max e Fomapan 200. E aggiunge: Se i negativi presentano bordi irregolari o lattiginosi è necessario un bagno di fissaggio rapido. Per una conservazione archival e sicura nel tempo si consiglia comunque per precauzione di fare un secondo bagno di fissaggio ai negativi, anche a distanza di qualche giorno dallo sviluppo.
VANTAGGI E SVANTAGGI DI LAB-BOX
E’ passato ormai oltre un anno dal mio primo approccio con LAB BOX e sulla base della mia esperienza vorrei elencare quelli che a mio parere sono in vantaggi e gli svantaggi, confrontati e riferiti alle tank tradizionali
VANTAGGI
Il primo, ovvio e indubbio è che non c’è bisogno del buio assoluto sia esso naturale o artificiale come la changing bag, pr caricare la pellicola, sia essa 135 o 120
Il secondo, riferito soprattutto alla pellicole a135 è che il caricamento della pellicola è enormemente facilitato, visto che l’utente può in piena luce inserire il rullo nella LAB-BOX, agganciarlo alla pinza e iniziare a girare la manipola, fino a svolgere qualche centimetro di pellicola, già bruciata in fase di caricamento nella fotocamera e vedere se la pinza trascina la pellicola attraverso il film guide “ponticello”in modo corretto; a questo punto basta chiudere il coperchio e girare la manopola fino al suo arresto, agire sulla taglierina per avere la certezza matematica – se la spirale è stata assemblata correttamente – che la pellicola è correttamente avvolta nella spirale.
Gli stessi vantaggi li troviamo anche nello sviluppo della pellicola 120 anche se, come spiegato in diversi miei articoli, la procedura è più macchinosa: prima va estratta la carta e poi va agganciata la pellicola alla pinza avendo cura di non forzare rischiando di estrarre troppa pellicola, ma anche su questo problema ho spiegato il rimedio in un mio videotutorial
Il PROLID è di nuovo uno strumento estremamente utilE. E’ vero che la Agfa Rondinax 35U aveva un termometro analogico incorporato ma non è certo reattivo come quello del PROLID, a questo aggiungiamo il triplice timer che permette di programmare tre countdown differenziati per monitorare o il singolo processo del Monobagno o i canonici tempi di trattamento sviluppo/arresto/fissaggio. Si può tranquillamente usare un timer separato o i cronometri/countdown degli smartphone, ma avere tre timer, preprogrammabili, già incorporati, è un’altra musica. Il design, che io non sottovaluto mai, del PROLID, è decisamente accattivante
LAB-BOX quindi è una tank plug&play, adatta sia a chi non ha mai sviluppato un rullo in vita sua sia a chi per qualsivoglia ragione, vuole sviluppare i propri rulli in una situazione in cui non può disporre di una stanza buia o non ha portato con sè la changing bag. E poi, per gli addetti ai lavori, il processo è del tutto particolare, soprattutto con il Monobagno: 8 minuti indipendentemente dal tipo di pellicola, temperatura trascurabile, visto il range tra 18 e 26 gradi, questo movimento rotatorio della manopola da girare in continuazione – se si usano 300 ml di soluzione – il tutto porta comunque a un’esperienza diversa e piacevole. Inoltre, sempre con il Monobagno, basta una piccola borsa per riporre LAB BOX e Monobagno e si può sviluppare dovuqnue, anche per testare, durante uno shooting di qualche giorno, la bontà dell’attrezzatura
Svantaggi
LAB BOX richiede un assemblaggio semplice ma che deve essere perfetto, trovate QUI il manuale di istruzioni. Soprattutto il montaggio della spirale deve essere eseguito alla lettera, con il problema che la spirale può anche essere montato in modo non corretto senza che un occhio esperto se ne avveda. Ma, ripeto, basta seguire il manuale di istruzioni
Il Modulo 120 abbiamo già detto non è di immediata comprensione, anche qui va seguito il manuale di istruzioni ma ci sono anche alcuni passaggi intermedi, prima dell’aggancio della pellicola, come l’apertura prima e la chiusura poi del cilindro/camera oscura che se non eseguiti correttamene portano a un risultato non corretto.
Il fatto di non poter usare le pellicole su base P.E.T., indipendentemente dal tipo di chimica, è un indubbio svantaggio per chi predilige quel tipo di pellicole, mentre per quanto concerne le pellicole a grana tabulare basta non usare il Monobagno ma la chimica tradizionale e il problema non si pone.
Non posso esimermi dal parlare dei costi: una tank tradizionale, che prevede comunque un minimo di manualità e il buio più assoluto costa una trentina di Euro, la differenza, soprattutto rispetto al kit LAB-BOX + MODULE 135 + MODULE 120 è decisamente notevole. Non entro nel merito perchè ho anche spiegato che le tank daylight, oltre ad essere di più facile utilizzo hanno anche un loro fascino particolare. Ma mi sembrava doveroso inserire, se non come uno svantaggio, l’evidenziare che sono, tank tradizionale e LAB-BOX due prodotti differenti, sia negli aspetti positivi che negativi, e con prezzi differenti.
LA ROLLEI RPX 400
Per questo lavoro in accoppiata con LAB-BOX e Monobath è stata usata una pellicola Rollei RPX 400.Si tratta di una pellicola b/n pancromatica stesa su triacetato (tradizionale), Da ISO 400/27° caratterizzata da un’ampia gamma tonale, che anche col tiraggio fino 1600 ISO con lo sviluppo RPX-D la mantiene e comunque con una grana fine per la sensibilità che ha. Sviluppata in Monobath ha lasciato intendere una grana certamente più evidente che se fosse stata sviluppata in Bellini Hydrofen alla diluizione 1+31.
Qui trovate il datasheet del prodotto: Rollei RPX 400
QUALCHE SCATTO
Per questo lavoro in accoppiata con LAB BOX e Monobath è stata usata una pellicola Rollei RPX 400.Si tratta di una pellicola b/n pancromatica stesa su triacetato (tradizionale), Da ISO 400/27° caratterizzata da un’ampia gamma tonale, che anche col tiraggio fino 1600 ISO con lo sviluppo RPX-D la mantiene e comunque con una grana fine per la sensibilità che ha. Sviluppata in Monobath ha lasciato intendere una grana certamente più evidente che se fosse stata sviluppata in Bellini Hydrofen alla diluizione 1+31.
Qui trovate il datasheet del prodotto: Rollei RPX 400
Il risultato è più che accettabile. la Horizon rimane una fotocamera assolutamente affascinante, magari da non usare come fotocamera principale, ma con delle peculiarità che rendono le immagini sempre uniche e molto accattivanti. L’autoscatto è stato realizzato con un particolare scatto a ponpa lungo una decina dimetri che permette, premendo appunto la pompa, di spingere nel condotto flessibile l’aria fino alla fotocamera dove lo scatto a pompa è avvitato e dotato di segmento in metallo per attivare lo scatto. Un “selfie” con la Horizon non è da tutti i giorni….
L’angolo di campo della Horizon 202
Grazie al fatto che l’obiettivo della Horizon è rotante, l’angolo di campo, a parità di focale, passa a ben 120°, sempre sul formato 135, permettendo di ottenere fotogrammi 24x58mm.E si traduce in un aumento dell’angolo di campo di ben il 60% rispetto all’angolo di campo di un normale obiettivo 28mm. Questo significa anche che per la stampa dei negativi è più che sufficiente un normale ingranditore che accetta negativi fino al formato 6×6 cm.
Il confronto
In questa immagine il confronto tra uno scatto realizzato con una normale fotocamera 24x36mm che monta un 28mm e la Horizon 202 è più che evidente. La riproduzione della realtà che si ottiene diventa così estremamente diversa e suggestiva, soprattutto se non si tratta di una normale fotografia panoramica dove il soggetto è uniforme e all’infinito, ma di immagini con soggetti in primo piano.
La Horizon 202, la storia in breve.
Dopo la dismissione della produzione della Horizont, nel 1989 la fotocamera è stata ripresa da KMZ e rielaborata, soprattutto all’esterno. Questa volta KMZ chiamò la fotocamera Horizon 202. Invece di un case in metallo, l’esterno era ora realizzato in plastica ABS. Il funzionamento interno, tuttavia, non è cambiato molto. Il più grande cambiamento è stata l’aggiunta di una seconda velocità di rotazione del tamburo, su cui sono montati obiettivo e otturatore con conseguente set aggiuntivo di velocità dell’otturatore. Questo ha consentito di arrivare a 8 velocità di scatto: 1/2 s, 1/4 s, 1/8 s, 1/15 s, 1/30 s, 1/60 s, 1/125 e 1/250 s . In questi ultimi modelli le velocità di 1/15 e 1/30 s sono state eliminate a favore di un meccanismo più uniforme. I tempi di scatto “lunghi” sono fondamentali per poter lavorare con il diaframma completamente chiuso – aumentando la profondità di campo con soggetti in primo piano – anche in scarse condizioni di luce o utilizzando pellicole a bassa sensibilità.
Il tamburo rotante
L’obiettivo da 28mm è montato sulla Horizon su un tamburo rotante che ruotando durante lo scatto permette l’esposizione progressiva dell’intero fotogramma. Nonostante i tempi di scatto siano 6, il tamburo può ruotare solo su due velocità prefissate, una molto veloce, l’altra decisamente lenta. In entrambi i casi a differenziare i vari tempi di scatto è la distanza che la macchina imposta tra le due emisfere del tamburo, creando una fessura più o meno stretta e aumentando o diminuendo in questo modo la quantità di luce che arriverà sulla pellicola. Quando si impostano i tempi di scatti lunghi è preferibile non fotografare a mano libera ma con la fotocamera assicurata a un buon treppiede.
Il selettore dei tempi e i tempi di scatto.
Preferibilmente a otturatore scarico, impostando il selettore in basso a sinistra sul riferimento giallo si attivano i tempi lenti, quindi 1/2 secondo, 1/4 di secondo e 1/8 di secondo. Col selettore impostato sul riferimento bianco si attivano i tempi veloci, 1/60, 1/125 e 1/250 di secondo. In situazioni estremamente luminose/o usando pellicole ad alta sensibilità in giornate molto luminose è possibile ridurre ulteriormente la quantità di luce che andrà colpire la pellicola applicando davanti all’obiettivo il filtro ND in dotazione
Il caricamento della pellicola
Pressocchè identico al caricamento della pellicola della precedente Horizont, è ben spiegato nel video che accompagna questo articolo. Aprendo il dorso della fotocamera, sulla sinistra si notano due barrette di acciaio cilindriche, la prima è fissa, e fa parte della struttura della fotocamera, la seconda, più in basso, nascosta parzialmente dalal prima, è volvente, ed è quella SOTTO la quale va fatta innanzitutto passare la coda della pellicola.
L’avanzamento della pellicola
Dopo aver fatto passare la coda della pellicola al di sotto del primo cilindro volvente si tira la pellicola per circa dieci centimetri e si infila la coda AL DI SOTTO del secondo cilindro dentato. Armando l’otturatore usando la leva di carica la pellicola passerà al di sotto del cilindro dentato fino ad arrivare nella parte destra della fotocamera. A questo punto si piega leggermente verso l’interno la coda della pellicola e la si infila in una delle fessure del rocchetto nero di avvolgimento. Se la pellicola risultasse troppo lassa si spinge verso l’interno il pulsante di riavvolgimento e usando il manettino di riavvolgimento posto sulla calotta a sinistra si tende la pellicola. Non è il caso di “guadagnare” un fotogramma chiudendo immediatamente la fotocamera, si consiglia di far avanzare ancora la pellicola fino ad essere certi che la doppia perforazione abbia ingaggiato la doppia dentatura del rocchetto di acciaio di trascinamento. A questo punto si chiude il dorso, si fa avanzare la pellicola, scattando possibilmente sui tempi più brevi – tutto il lavoro va fatto all’ombra – fino a che nel contafotogrammi non compare il numero 1. Con una normale pellicola da 36 pose, lunga di norma 1,65m si ottengono 22 immagini. Se giunti verso la fine della pellicola si sente una certa resistenza NON FORZARE l’avanzamento anche se il cilindro ha già cominciato a ruotare per mettersi in posizione. Sganciare la pellicola con il pulsante di sgancio e riavvolgere completamente la pellicola nel rullo. Si sconsiglia di lasciare fuori la coda della pellicola così da avere la certezza matematica che la pellicola è completamente esposta onde evitare di riesporla inavvetitamente una seconda volta.
La livella a bolla integrata
La Horizon 202 dispone di una livella a bolla integrata nel mirino che può essere traguardata sia componendo l’inquadratura attraverso il mirino che osservando la fotocamera dall’alto quando posizionata sul treppiedi.A differenza della Horizont, che ha mirino e livella decentrati sulla sinistra del corpo macchina, qui il mirino è al centro e rende più facile la composizione. La messa in bolla è fondamentale per evitare deformazioni prospettiche soprattutto degli orizzonti; le prime volte non è facile da posizionare ma poi risulta molto facile il suo corretto posizionamento.
L’impugnatura a corredo
L’impugnatura a corredo, che al suo interno alloggia i tre filtri in dotazione, è indispensabile quando si scatta senza assicurare la fotocamera al treppiedi per avere la certezza di non impugnare scorrettamente la fotocamera, trattenendola tra le dita, con il rischio che nell’immagine finale si vedano i polpastrelli. Si suggerisce di accoppiarla allo scatto a filo, anche quando si scatta con tempi veloci, per evitare il micromosso causato dalla pressione direttamente del polpastrello sul pulsante di scatto. La macchina va impugnata saldamente, la rotazione del sensore, soprattutto con i tempi veloci, è molto brusca e rischia di far muovere la fotocamera.
Iperfocale e profondità di campo.
La Horizon 202 non dispone di regolazione della messa a fuoco. Lavora in iperfocale prediligendo l’infinito, come è giusto che sia per una fotocamera, appunto, panoramica. Ma sono molte le situazioni in cui è necessario avvicinarsi e non di poco a un soggetto principale; in questi casi è necessario chiudere il diaframma, osservando la tabella qui riportata che consente, a f/16, di ottenere un’estensione di fuoco da 1 metro fino all’infinito.
Le differenze tra i vari diaframmi e le varie profondità di campo
In alto uno scatto realizzato a f/16 posizionando la fotocamera alla minima distanza di messa a fuoco dal palo, quindi 1 metro; in basso dalla stessa distanza ma diaframmando a f/2.8
Gli ingrandimenti a confronto.
Mentre il fuoco sull’infinito è pressocchè identico in entrambi gli scatti, a f/2.8 il palo posto a un metro di distanza risulta completamente sfuocato. A f/2.8 la minima distanza di messa a fuoco è di 5 metri, ottima per i panorami, non per i soggetti in primo piano. tra f/16 e f/2.8 c’è naturalmente l’ampia scelta di tutti i diaframmi intermedi e relative minime distanze di messa a fuoco.
Un altra situazione: un interno
In alto a f/16, in basso a f/2.8. nelle foto panoramiche in interni l’uso dei diaframmi chiusi è indispensabile.
Un altra situazione: un interno, il dettaglio
A sinistra a f/16, a destra a f/2.8
Come cambia la profondità di campo ai vari diaframmi.
Da f/2.8 a f/16 ecco come cambia la profondità di campo ai vari diaframmi impostati.
L’esposizione
Mancando, come per tutti i modelli Horizont e Horizon un esposimetro incorporato, per effettuare una corretta esposizione ci si basa come di consueto su un esposimetro esterno: io qui, come di consueto, ho utilizzato un Sekonic L-308x Flashmate, in modalità luce incidente.
Sul campo: pellicola e sviluppo.
Per la maggior parte degli scatti che corroborano questo articolo ho utilizzato ormai come di consueto la splendida pellicola Rollei Superpan 200 sviluppata in Bellini Hydrofen 1+31 a 20° per 13 minuti. Ho ottenuto una eccellente gamma tonale e un perfetto contenimento della grana.
La prova di risoluzione
Come quasi sempre in queste prove, ho appoggiato sul negativo una diottra che a sinistra della croce centrale ha una scala in millimetri, a destra in decimi di millimetro e ho ingrandito un’area ” difficile” dell’immagine, dove è presente vegetazione, molto difficile da risolvere. Il risultato rimane comunque ottimo. Lo scatto è stato realizzato a f/16 per ragioni di profondità di campo, si nota però al contempo una leggera diffrazione, causata appunto dal diaframma chiuso al massimo.
Conclusioni
La differenza principale tra la Horizont e la Horizon sta innanzitutto nell’implementazione sui tempi lunghi che permette di lavorare anche in interni con diaframmi molto chiusi mantenendo un’ottima profondità di campo.
Abbandonata da qualche … anno, ho di recente ripreso in mano la Horizon e sono nuovamente rimasto incantato da questo particolarissimo taglio d’immagine che porta lo sguardo quasi in una quarta dimensione. Il modello 202 è reperibile usato sul mercato, per chi invece volesse acquistare il modello nuovo suggerisco la Horizon Perfekt . I tempi arrivano a 1/500 di secondo, mentre il modello che io ritengo perfetto nel vero senso della parola è la Horizon 203, detta anche Horizon S3 Pro che aveva anche la posa di un secondo. presentata nel 2003, la S3 Pro è fuori produzione e va “cercata”. Non è impossibile da trovare, naturalmente usata.
Vi suggerisco, se già non lo avete fatto, di leggere o rileggervi il primo articolo sul mondo delle fotocamere panoramiche, che trovate sul mio sito qui
Il prossimo articolo sarà un confronto sul campo tra la vecchia Horizont e la “nuova” Horizon 202
A presto!
Gerardo Bonomo