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Fotografare usando la pellicola, specie se bianco e nero, prevede una serie di variabili e complessità ben superiori al digital imaging. E’ forse anche per questo che quando si arriva a ottenere una fotografia stampata in bianco e nero che riflette esattamente quello che il fotografo aveva in mente all’atto dello scatto dà ancora oggi una sensazione di piacere e di successo senza paragoni. Nel corso dei decenni tutto è cambiato anche nel mondo della fotografia argentica, e ancora sta cambiando. Tra i cambiamenti non possiamo non pensare innanzitutto al fatto che la produzione di fotocamere a pellicola è di fatto cessata, ma fortunatamente esiste sul mercato una quantità apparentemente infinita di materiale usato e perfettamente funzionante e/o riparabile. E non possiamo non pensare che sono state inegnerizzate molte nuove erano mulsioni e al contempo che molte non sono più prodotte. E’ il caso della pellicola bianco e nero Kodak High Speed Infrared, una pellicola che aveva peculiarità uniche, che meritano di essere approfondite, anche se oggi l’unica possibilità di mettere le mani su un rullo ancora da esporre di Kodak eInfrared – scaduto, naturalmente – è piuttosto limitato.

La pellicola Kodak High Speed Infrared è stata per decenni un’emulsione che è stata utilizzata sia per scopi scientifici che per ricerche fotografiche-artistiche. Completamente diversa da qualsiasi altra emulsione in bianco e nero, permetteva di realizzare immagini assolutamente inedite, sfruttando una parte dello spettro della luce non visibile all’occhio umano: la radiazione infrarossa. Nonostante la pellicola non sia più in produzione rimane una pietra miliare nella storia delle emulsioni fotografiche. Oggi esistono ancora emulsioni sensibili all’infrarosso, come la Rollei Infrared. Questo articolo è quindi un’introduzione alla fotografia all’infrarosso – senza entrare in dettagli tecnici troppo approfonditi – a cui seguirà un articolo specifico dedicato alla Rollei Infrared.

L’occhio umano è in grado di vedere una porzione ridotta dello spettro luminoso, situato tra i 400 e 700 nanomentri. Le parti dello spettro inferiori e superiori a questa porzione non sono visibili nè all’occhio umano nè alle comuni pellicole fotografiche.

La pellicola Kodak High Speed infrared è stata prodotta fino al 2007, poi dismessa. Era sensibile a una parte dello spettro ben superiore ai 700 nanometri della luce visibile; arrivava infatti a “leggere” fino ai 900 nanometri, potendo quindi essere impressionata dalla radiazione infrarossa. Stesa su una base di poliestere, era anche una pellicola molto delicata, che se non correttamente manipolata poteva graffiarsi molto facilmente.

E’ ancora possibile reperire pellicole Kodak Infrared, naturalmente scadute. Come per qualsiasi pellicola bianco e nero scaduta bisogna tenere conto  di una perdita di qualità del prodotto, che molto spesso si traduce in una velatura grigia e in un abbassamento del contrasto del negativo. Se si ha la fortuna di venire in possesso di un lotto di pellicole Kodak Infrared scadute nello stesso periodo basta sacrificare una pellicola per un test e valutare in base al risultato se e come utilizzare le restanti.

Una delle prime differenze che si nota nelle immagini ottenute con pellicola all’infrarossa è uno scurimento delle parti serene del cielo: queste pellicole sono in grado di “bucare” il velo atmosferico ottenendo così dei cieli simili a quelli che si ottengono dove appunto non è presente un’atmosfera, come nelle fotografie riprese sulla Luna, o più in generale nello spazio. In condizioni ideali e con in filtro appropriato, il cielo sereno risulterà sul negativo completamente trasparente e nella stampa completamente nero. Questa “cecità” al velo atmosferico le permette anche una maggiore nitidezza nelle riprese di paesaggi con quinte molto distanti in giornate dove il velo atmosferico rendono la visibilità dell’orizzonte incerta. Sono alcune delle differenze per cui Kodak ha scritto, tra gli utilizzi di questa pellicola, “for abstract pictorial effects”.

Un secondo effetto che era peculiare della pellicola Kodak Infrared era l’effetto “Aura”: a causa del fatto che la Kodak Infrared non disponeva dello strato anti alho, tutti i soggetti molto luminosi, specie su fondo scuro, risultavano come circondati appunto da un’aura, causata dalla dispersione della luce che una volta attraversata la pellicola veniva riflessa e dispersa nell’emulsione. Il terzo effetto è l’ottenimento di qualsiasi specchio d’acqua non in movimento come completamente nero,a causa del fatto che l’acqua assorbe interamente la radiazione infrarossa.

Mentre uno scurimento quasi totale del cielo sereno è possibile ottenerlo anche con una normale pellicola bianco e nero pancromatica usando un filtro rosso come il 25A, il quarto effetto che si ottiene con le pellicole infrarosse non è ottenibile con le pellicole pancromatiche: è il cosiddetto effetto Wood, grazie al quale la vegetazione appare di un bianco più o meno marcato, questo è dovuto alla riflessione della clorofilla presente nel parenchima spugnoso della vegetazione. Non tutta la vegetazione quindi schiarisce, ma solo quella “carica” di clorofilla, come la maggior parte della vegetazione caduca, ovvero che perde le foglie d’inverno. La vegetazione aghifogile, quindi alberi come i cipressi o alcuni pini o abeti rimangono completamente scuri.

Esiste ancora comunque sul mercato una pellicola bianco e nero infrarosso: è la pellicola Rollei Infrared, attualmente in produzione, e disponibile sia in formato 135 che 120 che 4×5″, – mentre la Kodak Infrared era disponibile esclusivamente in formato 135 -pur essendo una pellicola iperpancromatica e non propriamente una pellicola infrarosso, restituisce tutti gli effetti della pellicola Kodak Infrared ad eccezione dell’effetto Aura, a causa del fatto che la pellicola Rollei Infrared dispone dello strato anti alho. L’effetto finale, comunque, è quasi sovrapponibile a quello della Kodak Infrared. Senza l’impiego di filtri, la Rollei Infrared si comporta come una normale pellicola pancromatica. La Rollei Infrared ha una sensibilità nominale precisa, 400 ISO; questa aiuta a esporre nel modo più appropriato la pellicola.

Non tutte le fotocamere erano compatibili con la Kodak Infrared: erano preferibili quelle completamente meccaniche. Alcune, dotate di sistemi di controllo del trascinamento proprio su base infrarosso rischiavano di velare completamente la pellicola.

La maggior parte degli obiettivi – ad esclusione di obiettivi appositamente progettati per il digitale – erano provvisti di un riferimento sulla ghiera della messa a fuoco su cui riportare manualmente la distanza del soggetto focheggiata attraverso il mirino. La radiazione infrarossa infatti non cade nello stesso punto della radiazione del visibile e la messa a fuoco andava ricalibrata, dopo essere stata focheggiata attraverso il mirino, accoppiando la distanza effettiva al punto di riferimento dell’infrarosso.

Da sinistra: il filtro rosso 25A, il filtro rosso scuro 29A e il filtro R72. Con la Kodak infrared era sufficiente applicare il filtro rosso 25A per poter selezionare lo spettro dell’infrarosso trattenendo la maggior parte della radiazione visibile. Con le pellicole dell’ultima generazione, come la Rollei Infrared, si ottiene un effetto infrarosso più marcato utilizzando il rosso scuro 29A o meglio ancora il filtro R72 che lascia passare quasi esclusivamente la radiazione infrarossa.

Un filtro rosso 25A montato sul 28mm AIs f/2.8 di una Nikon FM3A

Attraverso il filtro, però, non è possibile avere una preview reale di come sarà l’immagine inquadrata in infrarosso.

Il vantaggio di poter lavorare con un filtro come il 25A sta nella possibilità di vedere chiaramente l’immagine inquadrata nel mirino, cosa impossibile quando si utilizzano filtri più scuri, come il filtro R72, dove è necessario inquadrare senza filtro e montare poi il filtro sull’obiettivo poco prima dello scatto.

La Kodak infrared andava caricata e scaricata nel buio più completo, un grosso svantaggio che necessitava di avere con sè una changing bag per sostituire la pellicola, una volta ultimata, durante le riprese.

Una volta completamente esposta la Kodak Infrared andava richiusa nel suo contenitore nero di protezione, in attesa di essere sviluppata

Anche il trattamento di sviluppo andava effettuato completamente al buio. Nonostante la tank sia a completa tenuta di luce, l’apertura del tappo della tank per il cambiamento dei liquidi del processo di sviluppo avrebbe permesso alla componente infrarossa della radiazione luminosa di bruciare completamente la pellicola. Le tank di sviluppo, infatti, senza tappo sono a perfetta tenuta della luce visibile, ma non della radiazione infrarossa. Il trattamento di sviluppo, arresto e fissaggio veniva compiuto con la medesima chimica utilizzata per le altre pellicole bianco e nero. C’erano naturalmente diversi sviluppi consigliati a diverse diluizioni.

La Kodak Infrared non aveva una reale sensibilità nominale, ma semplicemente suggerita. La sensibilità effettiva dipendeva comunque dal filtro impiegato, ma soprattutto dalla componente di radiazione infrarossa presente nella scena, variabile al variare della latitudine, dell’ora del giorno e del meteo.

Le istruzioni pratiche suggerivano una certa accoppiata tempo/diaframma da selezionare tra soggetti distanti, vicini, e con l’impiego del filtro. La sperimentazione sul campo e un bracketing di esposizione erano imprescindibili.

Qui la focheggiatura è stata fatta sul frammento di vetro della finestra, il paesaggio sullo sfondo, leggermente sfuocato e con l’evidenza sia dell’effetto aura che dell’effetto Wood rendono appieno l’oniricità di questo tipo di pellicola

Il cielo, sereno, si è quasi completamente scurito e gli elementi architettonici, bianchi, sono circondati dall’effetto aura.

Questa è una delle fotografie a cui sono più legato, tra tutti quelle che ho scattato in tutta la mia vita. La porta d’ingresso sfondata attraverso la quale si vede il giardino tropicale, le palme biancheggiano, il sole si riflette nella pozzanghera all’ingresso e al contempo ha bruciato i bordi dell’immagine fin oltre l’area del fotogramma. La Kodak Infrared possedeva una grana evidente che, accomunata all’effetto aura, restituiva il necessario, l’indispensabile, ma non il superfluo, interpretando di volta in volta la realtà in un modo riconoscibile ma al contempo molto differente dalle altre emulsioni.

Conclusioni

La pellicola Kodak Infrared è stata senza dubbio una delle emulsioni più interessanti per moltissimi fotografi alla ricerca di un modo di interpretare la realtà che, pur partendo dal linguaggio in bianco e nero, uscisse dai canoni tradizionali per giungere a una visione onirica della realtà stessa. La complessità del prodotto, il caricamento e lo sviluppo nel buio più assoluto, i dati di targa incerti, rendevano ogni fotogramma ben riuscito una reale vittoria personale in un percorso, quello dell’argentico, ancora oggi irto di sfide da superare, fotogramma per fotogramma, stampa per stampa. Come anticipato, c’è ancora una pellicola in produzione, la Rollei Infrared, molto simile alla Kodak che permette di ottenere risultati molto interessanti e di cui mi occuperò su questo sito a breve.

L’argentico era e rimane, ad ogni scatto, un’alchimia, una magia che può portare a insuccessi, quanto a soddisfazioni impagabili. Come ogni azione nella vita…